Pubblichiamo la lettera aperta dei rappresentati dei genitori in seno al Consiglio dell'Istituto comprensivo "Corrado Alvaro" di Chiaravalle Centrale.

Ai genitori

I.C.  “C. Alvaro”

E, p.c.:

Al Dirigente scolastico

I. C. “C. Alvaro”

Al Signor Sindaco

Comune di Chiaravalle Centrale

Carissimi genitori,

quali vostri rappresentanti nel Consiglio d’Istituto sentiamo il dovere di rivolgerci a tutti voi per lanciare una campagna di sensibilizzazione sul rispetto dei beni comuni.

La scuola che i nostri figli frequentano rappresenta il più grande investimento dell’intera comunità sul futuro. Per consentire ai ragazzi di crescere culturalmente e socialmente, lo Stato e le amministrazioni locali mettono a nostra disposizione risorse umane (docenti, personale amministrativo, collaboratori scolastici), ma anche risorse strumentali (le aule scolastiche, i banchi, le sedie, i servizi igienici, le attrezzature tecniche, informatiche e multimediali, ecc…). Si tratta di beni comuni, perché appartengono a tutti noi, intesi come collettività che ne fruisce, ma non sono di nostra proprietà in quanto ci sono concessi in prestito. Sono beni preziosi, perché senza di essi i nostri figli non potrebbero andare a scuola o, comunque, sarebbero costretti a disagi enormi. Proprio per questo abbiamo il dovere di salvaguardarli e conservarli con cura e amore. Prima di tutto perché la perdita o la distruzione di uno di questi beni priva direttamente i nostri figli della possibilità di utilizzarli e poi perché è nostro compito consegnarli ai ragazzi che verranno dopo di loro in uno stato che consenta di vivere l’esperienza formativa ed educativa con profitto e serenità.

Ci preoccupano alcuni episodi di vandalismo che danneggiano beni materiali della scuola, contribuendo anche a creare un clima di sfiducia e di smarrimento. E’ necessario che tutti noi ci assumiamo la responsabilità di far capire ai nostri figli l’assoluta importanza dei beni di cui ogni giorno fanno uso e che qualsiasi atto vandalico o comunque irrispettoso provoca un pregiudizio in primo luogo a chi lo commette, ma sottopone l’intera comunità a un grave disagio, soprattutto in un periodo come questo di grave crisi economica che potrebbe impedire alle amministrazioni competenti di provvedere tempestivamente alla riparazione o alla sostituzione del bene danneggiato.

Assumiamoci perciò tutti insieme l’impegno di seguire di più i nostri figli, non solo nel profitto scolastico, ma anche nell’atteggiamento con il quale si pongono nei confronti dell’ambiente nel quale ogni giorno esprimono la loro personalità individuale e sociale. Facciamo del motto “rispettiamo i beni della scuola” lo slogan con il quale ogni giorno accompagniamo i nostri figli nel loro percorso di studenti. Parliamone e diffondiamolo tra tutti i nostri amici e conoscenti genitori, anche degli altri istituti scolastici. La scuola sarà migliore, saranno migliori i nostri figli e saremo migliori tutti noi.

Chiaravalle Centrale, 25 novembre 2011

Antonella Polito

Gianfranco Corrado

Gianfranco Mammone

Lucia Staglianò

Maria Trichilo

Nicola De Luca

 

La vittoria nei referendum è una vittoria autenticamente dei cittadini. Di quelli che si sono impegnati nei comitati promotori sin dalla fase di raccolta delle firme, allestendo banchetti, pedalate e le più svariate iniziative. Di quelli che hanno fatto il passaparola, che hanno allestito i gazebo e volantinato, con il bello e il cattivo tempo, rompendo il silenzio di tv e partiti. Di quelli che ogni giorno a ricordare che il 12 e il 13 giugno si votava. Di quelli che pur di farlo si sono presi anche insulti. Di quelli che ci hanno creduto, quando altri sono stati a guardare. Di quelli che si sono autotassati, perchè sapevano della posta in gioco. Di quelli che hanno sudato e ci hanno messo la faccia per un interesse generale e per i beni comuni. Ma sopratutto, di quelli che sono andati a votare perchè hanno capito che si trattava del loro futuro e di quello dei loro figli. A tutti questi grazie perchè hanno scritto una bellissima pagina di democrazia e di storia. Perchè hanno regalato una nuova speranza a tutti gli italiani.

(Martedì, 14 giugno 2011)

Ieri è stata celebrata, in tutte le chiese d’Italia, la 97^ Giornata Mondiale delle Migrazioni, istituita da Pio X nel 1914.

Nonostante sia la più antica tra le Giornate che la Chiesa celebra nel corso dell’anno liturgico, è ancora oggi più attuale che mai.

La sua attenzione e la sua preghiera, infatti, non sono rivolte solo agli emigrati italiani che sono tanti sparsi nel mondo, ma a tutte le altre persone coinvolte nella mobilità umana in modo particolare gli immigrati e profughi.

E’ sotto gli occhi di tutti che il fenomeno migratorio, in questi ultimi anni, ha assunto proporzioni rilevanti, con lo spostamento di masse di persone, che da paesi poveri o in guerra si spostano verso i paesi cosiddetti ricchi per costruirsi un futuro migliore.

Spesso i paesi e le comunità ospitanti non accolgono i migranti, li rifiutano, li sfruttano, sono intolleranti nei loro confronti, non comprendono che la società, il mondo si sta avviando verso una convivenza multirazziale, multietnica, multiculturale e multireligiosa e che il nostro futuro è collegato con quello delle persone di altri paesi.

C’è bisogno di accoglienza.

Mai come in questo periodo si parla tanto di accoglienza ed è difficile trovare qualcuno che non sia d’accordo nell’affermare che l’accoglienza sia un valore importante per costruire una comunità basata sul rispetto degli altri come soggetti di diritti.

In pratica però, sono molti, persone, gruppi, movimenti ideologici, politici, ecc., che rifiutano di accogliere i migranti con una varietà di pretesti e di scuse presentanti come motivi legittimi e facendo ricorso a vari modi per eludere la responsabilità  di accogliere coloro che cercano rifugio e protezione umanitaria.

Dobbiamo, a mio parere, vincere i nostri egoismi materiali, le nostre paure, le nostre chiusure mentali e culturali perché questo ci porta ad isolarci dal mondo che ci circonda ed aprire un dialogo con chi viene nel nostro paese, spinto da qualsivoglia problema, evitando che l’incontro tra persone e culture diverse diventi  scontro, conflittualità, incomprensione e che l’immigrato da  hospes (ospite) diventi hostis (nemico).

Papa Benedetto XVI, nel messaggio per questa giornata, afferma che i migranti e le popolazioni locali che li accolgono fanno parte di “una sola famiglia umana” e hanno gli stessi diritti a usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale.

Dobbiamo imparare a conoscere, a rispettare gli immigrati e a convivere con essi, a comprendere che attraverso le migrazioni, con l’integrazione di popoli diversi per razza, cultura e religione si può costruire veramente una comunità più solidale e più giusta e come auspica il papa, una sola famiglia umana.

 Teresa Melissari

(Lunedì, 17 gennaio 2011)


Martedì 14 dicembre è stata “una giornata particolare”, una giornata che certamente ha scritto un pezzo amaro della nostra storia. Due avvenimenti sono accaduti a poche centinaia di metri di distanza, ma più lontani e "estranei" tra loro non potevano essere, pur essendo l'uno collegato all'altro.

Alla Camera dei Deputati è andato in scena uno spettacolo deprimente, non tanto per il risultato ma per il modo con il quale è maturato e soprattutto perché si è avuta la conferma di un emiciclo ridotto a curve di tifoserie ultras (e meno male che si è sempre alla ricerca della figura mitologica del moderato. Ma moderato rispetto a che?). Poi, quel luogo della rappresentanza popolare blindato ha dato il segno della distanza di quei “rappresentanti” dal popolo.

Nelle vie di Roma, fuori dal palazzo, si è sollevata la protesta contro il palazzo, una protesta che voleva essere colorata, fantasiosa, non violenta, ma che in modo inaccettabile si è trasformata in violenza. Una violenza che rischia, come ben ha scritto Roberto Saviano nella sua lettera pubblicata su "repubblica.it", di delegittimare un movimento che stava costruendo la sua credibilità sulle ragioni della lotta. Con la violenza, è bene assolutamente dirlo, non si va da nessuna parte. Nella storia del novecento abbiamo mirabili esempi di come le lotte non violente siano state capaci di vincere contro avversari che avevano dalla loro parte l’uso preponderante della forza (Nelson Mandela, Gandhi, Martin Luther King).

Ma fermarsi a condannare la violenza non basta, è necessario andare oltre. Lo dimostrano i tanti messaggi che il sito "repubblica.it" ha ricevuto dopo la pubblicazione della lettera di Saviano. Alcuni dei quali ribadivano che di fronte all’assoluta sordità delle istituzioni ormai non c’è più niente da perdere e, quindi, anche l’impiego della forza diventa un mezzo per lottare contro il potere. Bisogna allora tentare di capire, non chiudersi a riccio e non limitarsi a relegare tutto nella sola questione dell’ordine pubblico.

Alcuni hanno immediatamente fatto il paragone con le violenze degli anni settanta del novecento. Ma l’assioma non è convincente. Negli anni settanta c’era ancora un idea di futuro, si intravedeva la possibilità per le generazioni future di migliorare rispetto a quelle precedenti. La protesta a destra, come a sinistra, era assolutamente ideologizzata, vissuta e subita in un contesto di lotta politica estrema. Oggi, invece, l’idea di futuro si è persa, le nuove generazioni hanno pochissime speranze, o nessuna, di migliorare il proprio tenore di vita rispetto a quello dei loro genitori, anzi le prospettive sono assolutamente negative. Sono i giovani del cosiddetto “lavoro mai”. Persone non ideologizzate, che non rispondono ad alcuna parte politica, anche perché l’attuale conformazione del Parlamento, frutto delle elezioni del 2008, ha lasciato inopinatamente e disgraziatamente fuori tantissime istanze sociali e politiche. Infatti, nelle loro manifestazioni non si vedono bandiere, ma si gridano slogan, si innalzano cartelli, si mostrano provocatoriamente titoli di libri. Sono senza rappresentanza politica. Forse è proprio questo che deve fare riflettere e in particolar modo i partiti politici che non riescono a rappresentare le loro istanze, che sono distanti dalle loro preoccupazioni sul futuro, che non colgono il loro bisogno di essere ascoltati. Solo sforzandosi di capire si può tentare di togliere i picconi, le pale e i sanpietrini dalle mani di alcuni di loro ed isolare i violenti.

(Sabato, 18 dicembre 2010)

Ieri sera, presso il salone “Don Bosco” della Parrocchia di Soverato, gremito di persone, si è svolto un interessante incontro sul tema “Essere credenti responsabili oggi secondo la Dottrina Sociale della Chiesa”, presieduto da Mons. Mario Toso (Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace).

Nella sua lectio magistralis, Mons. Toso, dopo aver fatto una premessa sulle funzioni del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha concentrato l’attenzione del suo discorso sulla necessità di lavorare per una società e per un’economia che riscoprano l’etica, che per i cristiani si riconduce a mettere al centro di tutto Gesù. Se il punto di riferimento è Cristo allora si possono ricostruire autentiche relazioni sociali, politiche ed economiche fondate sul rispetto dell’uomo e non sulla esclusiva logica del profitto. La politica deve comunque ritrovare il suo primato sull’economia e soprattutto sulla finanza speculativa artefice della crisi economica e fonte di ingiustizie e di disparità. La politica deve, quindi, governare avendo come unico obiettivo il bene comune che è quell’insieme di condizioni sociali, economiche, culturali e religiose da cui dipende il bene di ogni individuo e quindi della comunità nel suo complesso. Da qui l’accenno all’economia di comunione e di condivisione che rappresenta l’unico mezzo per superare egoismi e cannibalismi, e al valore dell’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax). Qui, si innesca pure il valore della dottrina sociale della Chiesa che spesso è considerata un “tesoro che la Chiesa mantiene segreto” e invece deve rivivere, ha bisogno di essere studiata, di essere divulgata, di penetrare nelle comunità per guidare il cambiamento e favorire comportamenti più “etici”.

Al termine del suo intervento sono state poste al Mons. Toso alcune domande, le cui risposte non sono state del tutto convincenti. Per esempio, si è posto l’accento sulla necessità di una maggiore unità dei cattolici in politica, “perché altrimenti non si conta”, e su quella di ottenere maggiori finanziamenti per le scuole cattoliche. Da cattolico mi pongo in maniera critica rispetto a queste due affermazioni. Per quanto riguarda l’unità dei cattolici, personalmente non sento alcun bisogno di ritornare al partito unico dei cattolici. Il problema della rappresentanza politica dei cattolici è molto sentito, ma non si risolve ri-costruendo una nuova Democrazia Cristiana. Piuttosto servono cattolici impegnati in assoluto spirito di servizio e capaci di dare il loro contributo, secondo le loro sensibilità, nelle varie organizzazioni sociali e politiche di un Paese sempre più plurale e sempre meno ideologizzato. L'unico e fondamentale punto fermo deve essere il servizio disinteressato all’uomo e alla comunità. D’altro canto vorrei ricordare come negli ultimi anni la Chiesa abbia ottenuto numerosi "vantaggi", pur in assenza di un partito dei cattolici, grazie all’apporto dei cosiddetti “atei devoti” e alla loro adesione più formale (e propagandistica) che sostanziale ai “valori cristiani irrinunciabili”.

Per ciò che concerne il finanziamento alle scuole cattoliche, mi piace sottolineare che l’art. 33 della Costituzione Italiana stabilisce che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. I soldi pubblici devono finanziarie esclusivamente la scuola pubblica che è la scuola di tutti, dei cristiani come dei credenti di altre religioni, come degli atei. E’ un principio fondamentale dello stato laico che, pur garantendo la libertà di dare vita a scuole private, anche confessionali, deve assicurare a  tutti i cittadini, aldilà delle condizioni di reddito e delle opinioni religiose, il diritto all’istruzione e fare in modo che quella pubblica sia la migliore. Anche sotto quest’aspetto si gioca la responsabilità dei credenti!

(Domenica, 28 novembre 2010)

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CHIESA EVANGELICA VALDESE


 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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