Sull’edizione di oggi di “La Repubblica” sono apparse due notizie perlomeno inquietanti, che aprono frontiere forse ancora inesplorate.
La Deutsche Bank ha lanciato un prodotto finanziario, già definito il “bond morte”, che specula sulla vita delle persone. L’investimento è proposto a un gruppo di persone tra i 72 e gli 85 anni, dopo che le stesse hanno dato il consenso alla raccolta di dati sulle loro condizioni di salute. La scommessa è sulla durata delle loro vite. Più rapida è la morte, maggiore è il guadagno dell’investitore, mentre il profitto della banca cresce con la sopravvivenza delle persone appartenenti al campione.
La Marc Rcko Enterprises offre uno sconto permanente su tutti i suoi prodotti a chi si fa tatuare, in maniera indelebile, uno dei due logotipi del marchio.
Sarà il periodo di crisi, sarà che ormai la finanza e le strategie commerciali giocano a spremere tutto ciò che è spremibile e a fidelizzare il più possibile il cliente, ma certo è stato superato il limite oltre il quale la differenza tra uomo e oggetto svanisce.
Nei “bond morte” l’investitore deve addirittura, paradossalmente, sperare di morire per incassare di più, nel caso dei tatuaggi pubblicitari si trasforma la propria carne in uno “spot” permanente.
Si può obiettare che in entrambi i casi le persone che investono nel bond o si fanno tatuare lo fanno in piena libertà, ma siamo sicuri che non si tratti di una libertà effimera camuffata dietro una schiavitù di fatto, la schiavitù del consumatore. Si perché ormai non siamo più cittadini, ma solo consumatori. Le nostre vite sono legate e regolate sulla misura dei nostri consumi e, purtroppo, anche parlamento, governo e partiti politici ne hanno preso abbondantemente atto e provvedono di conseguenza.
(Mercoledì 8 febbraio 2012)