Venti anni fa, i “costruttori di pace”, che si apprestavano a marciare nella diocesi di Molfetta, venivano accolti da don Tonino Bello. Oggi, lui non c’è più, ma la sua “presenza” non è passata certamente inosservata. L’eredità scomoda come per osmosi, si è trasferita a coloro che hanno fatto di questo vescovo il motivo portante del loro impegno per la nonviolenza. I suoi saluti di allora erano quelli di un indimenticato e ancor oggi amatissimo vescovo. Don Tonino, presidente di Pax Christi, moriva poi il 20 aprile 1993. Quest’anno, stessa data, si è tornati lì, nella sua terra. La 45a Marcia della pace si è svolta, infatti, a Lecce, partendo dalla sua tomba ad Alessano.

 

«Una terra-finestra. Una terra-simbolo. Una terra-speranza. Una terra-frontiera … Si distingue bene il Mediterraneo, nuovo invisibile muro, che curva la nostra regione come un arco di guerra puntato dal Nord verso il Sud del mondo. Il radicalmente altro che è il musulmano, il radicalmente impoverito che è l’africano». Le parole di don Tonino hanno 20 anni, ma sono tragicamente attuali anche oggi. Per questo Pax Christi, la Caritas, l'Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza episcopale italiana (Cei) e l'Azione cattolica italiana hanno invitato a marciare per la pace, nel solco del messaggio del Papa: Beati gli operatori di pace. Una marcia per essere “svegli” e vigilare su quanto sta accadendo, nei confronti degli immigrati e dei più poveri. Su quanto sta accedendo ad un’economia che mette pesanti fardelli sulle spalle delle persone, ma non mette minimamente in discussione le follie di spese militari a tantissimi zeri.

 

“In piedi costruttori di pace” è stato il messaggio più riflettuto e meditato. In piedi per dire che è pura follia spendere 130 milioni di euro per ciascuno dei 90 aerei da guerra F-35 che l’Italia dovrebbe acquistare. I soldi si trovano per le armi, ma dalle agende della politica spesso è assente il povero, l’immigrato, l’impegno per il disarmo. Mentre si trovano i soldi per gli armamenti, si erodono le casse dei servizi sociali ed assistenziali.

 

Può sembrare strano ma parlare di pace, oggi, sta diventando sempre più difficile, non solo perché intorno a noi sembra esserci un certo imbarazzo quando si pensa che le armi che tuonano morte in Siria sono vendute dalle nostre industrie di armamenti, ma anche perché autorevoli esponenti del mondo ecclesiale si stanno “spendendo” esplicitamente nella “salita in politica” di alcuni rappresentanti del mondo finanziario, bancario e industriale. Una scelta di campo che sembra, ancora una volta, trasformare una parte della comunità ecclesiale in una lobby politica che si identifica di fatto con un blocco sociale ben definito: i potenti e i ricchi, mentre intere famiglie sono ridotte sul lastrico da una crisi che sembra non avere mai fine.

 

Lo sappiamo: pace non è semplicemente assenza di guerra o, peggio ancora, tregua tra due guerre. Spinoza diceva che: “Pax enim non belli privatio, se virtus est - la pace non è assenza di guerra: è una virtù”. Allora la parola pace deve necessariamente coniugarsi con coesione sociale, civile convivenza, possibilità di speranza e giustizia per tutti. Per troppo tempo abbiamo usato Dio e il potere per giustificare scelte di violenza, che non significa necessariamente guerra o soprusi, ma anche, disagi sociali e senso di precarietà diffuso. Diciamocelo, oggi, per molti si tratta di fronteggiare la guerra della sopravvivenza! Come possiamo dire che viviamo in un mondo pacificato se tanti operai, lavoratori pubblici e privati perdono il lavoro, se tanti immigrati li costringiamo ancora a vivere nelle baraccopoli, se tante donne vengono fatte oggetto di brutale violenza.

 

Eppure ci sono tanti motivi per iniziare questo nuovo anno 2013  ”in piedi”, da svegli, marciando… Per ricordare, ma non solo. Ricordare il Concilio che compie 50 anni. Ricordare che questo nuovo anno sarà l’anno della Pacem in terris (1963), l'enciclica in cui papa Giovanni XXIII scrisse che la guerra è «roba da matti» (alienum est a ratione). Ricordare e guardare avanti, raccogliere le sfide che arrivano dall’oggi, per una Chiesa vicina alle sofferenze, alle gioie e alle speranze degli uomini, e per una società dove ognuno, uomo e donna, possa sentirsi parte viva e attiva. Dove sia ancora possibile sognare un mondo nuovo, che non sia solo il freddo e spesso letale risultato di una finanza che a tutto guarda meno che al valore della persona.

 

Un cammino in salita, certo, ma come spesso ci ricorda il saggio centenario Arturo Paoli, «camminando s’apre cammino».

C’è stata anche la benedizione di Benedetto XVI, che ha espresso la “vicinanza spirituale alle iniziative ecclesiali in occasione della Giornata mondiale della pace”, e nell’angelus del primo dell’anno ha ricordato: “in particolare, la Marcia nazionale che ha avuto luogo ieri sera a Lecce”. Scrive il Papa nel suo messaggio “Beati gli operatori di pace”: “La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare. La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo”. Speriamo che le parole scelte dal papa, possano rimanere per sempre scolpite nel cuore della storia dell’umanità. Esse hanno, sicuramente, la forza di generare continuamente cuori capaci di pace. Che sanno essere segno non solo di un “umanesimo aperto alla trascendenza”, ma anche di una trascendenza aperta all’umanità. Che hanno deciso di amare l’altro, chiunque esso sia, come un “fratello” e di custodirlo così dentro di sé per sempre.

 

don Gaetano Rocca

Direttore Ufficio Pastorale del Lavoro e dei Problemi Sociali

dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace

 

(Domenica, 13 gennaio 2013)

Quel prete vaneggia, diciamolo subito. Quelle sono parole di chi non sa quel che dice, manca di senno. Ma non si può confondere la posizione di uno con quella di tutta la Chiesa, che guarda alle donne come al popolo di Dio. In realtà i sacerdoti hanno una visione della donna come tutti gli altri uomini nella nostra cultura. Ci sono i misogini, certo. Nella Chiesa come altrove. Anzi io conosco molti preti che sono più aperti verso le donne di tanti mariti nei confronti delle loro mogli. A livello personale penso che monaci e sacerdoti siano maschi come gli tutti gli altri e a volte si può avvertire una certa diffidenza verso il mondo femminile. Purtroppo a livello di istituzione storica, la Chiesa, ha il retaggio di una eredità pesante, di poco apprezzamento verso la donna: Eva, tentatrice. Donna, colei che trascina l' uomo nel peccato, "che fa sfogare la sua concupiscenza", si sosteneva nel Medioevo. Una logica che nella Casta si trascina da allora. La gerarchia, preti, vescovi,e dunque anche il Papa, sono solo uomini. Si ordinano solo maschi perché si vuole essere fedeli alla vita storica di Gesù che ha scelto di inviare come apostoli solo uomini. Cristo e la Chiesa professano uguaglianza, ma nel corpo dell' istituzione storica non c' è ancora parità fra uominie donne. Nella Chiesa di oggi c' è poco spazio per le nostre sorelle. Anche senza farle partecipare al sacerdozio ci sarebbero mille modi per coinvolgerle e di impegnarle in posti di responsabilità, invece ai vertici di molti organismi ecclesiali di donne non ce ne sono. Per loro non c' è possibilità di contare nella Chiesa, proprio perché non c' è ancora un reale riconoscimento della donna nello spazio ecclesiale. A volte si dice che sia la castità o la legge del celibato a provocare una reazione di misoginia. Io credo di no. Come gli altri in monastero, osservo i voti senza alcuna tentazione di misoginia. A Bose abbiamo delle monache, siamo cinquanta uomini e quaranta donne, e non c' è alcuna ostilità verso le sorelle. Noi viviamo insieme la preghiera e il lavoro, ora et labora, secondo la regola di San Benedetto, ma c' è distinzione di dignità tra noi. Le sorelle hanno una loro priora, un loro ordinamento, parallelo al nostro. Da questo punto di vista io come priore di Bose non interferisco. Noi condividiamo la regola, siamo uguali davanti a Dio e davanti al mondo. Ma va detto che il monachesimo è un fenomeno marginale nella Chiesa, di minoranza. È la logica della Casta che provoca la misoginia. Purtroppo il clericalismo che si è attestato dal Medioevo in poi nei secoli ha prodotto questa eredità. (testo raccolto da Elsa Vinci)

ENZO BIANCHI

(pubblicato su Repubblica il 28 dicembre 2012)

Ho appena letto un pensiero del teologo Vito Mancuso, dal suo ultimo libro "Obbedienza e libertà - Critica e rinnovamento della coscienza cristiana".
Lo trascrivo, perché mi sembra una provocazione interessante sopratutto di questi tempi.
"Perché si possa dare un'autentica e liberante esperienza di verità occorre aprirsi senza timore allo spirito dell'eresia. E' la messa in dubbio, l'interrogazione inquieta, l'indagine che procede senza predeterminare già quale debba essere il risultato finale, a costruire il metodo verso la verità che libera. Eresia e verità sono contrarie e incompatibili solo per il potere, ma non lo sono in alcun modo per la ricerca del vero, del bene, del giusto.

(Mercoledì, 13 giugno 2012)

Il cuore di tutto è stato, anzi, è quella lunga litania dei nomi delle vittime innocenti della violenza mafiosa. La proclamazione di ognuno di quei nomi ha rappresentato l’elevazione al cielo di un grido di dolore che, in quella mattina d’inizio di primavera, si è trasfigurato in preghiera e nella speranza, affidata a Dio e agli uomini, che arrivi finalmente un giorno in cui quell’elenco non si allunghi più.

Il 21 marzo scorso “Libera – Associazione, Nomi e Numeri contro le mafie –“ ha celebrato a Serra San Bruno la “17^ giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie.” E come nella celebrazione della Santa Notte di Pasqua, quando si proclama la litania dei Santi, la lettura, ma soprattutto la presa di coscienza, di quei nomi ci spinge a credere che non ci si può fermare alla passione, ma bisogna spingersi oltre la morte per trovare la resurrezione.

La Passione di Gesù, la sua morte cruenta e ignominiosa, racchiude in se stessa la passione di ogni vittima innocente. Le lacrime di Maria sono le lacrime di ogni mamma che perde il proprio figlio per via della violenza assassina. Ma la luce della Resurrezione ci dice che la morte, la violenza, il potere mafioso può e deve essere sconfitto e che come Chiesa siamo chiamati ad essere in “prima linea” nel combattere la “buona battaglia”, perché la fede in Cristo è incompatibile non solo con l’adesione a qualsiasi organizzazione mafiosa e criminale, ma anche con il tacere di fronte alla lesione dei diritti e della dignità di ogni uomo generata dalla violenza.

Nella Chiesa Matrice di Serra San Bruno, la mattina del 21 marzo, sono risuonate ancora alte, grazie alla proiezione del filmato, le parole che Giovanni Paolo II pronunciò il 9 maggio del 1993 ad Agrigento: “I colpevoli che portano sulle loro coscienze tante vittime umane debbono capire che non si permette di uccidere degli innocenti. Dio ha detto una volta: Non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio”. E poi ai mafiosi, “Convertitevi: una volta verrà il giudizio di Dio. Questa terra vuole la vita!”

Ogni terra vuole la vita e di vita hanno parlato i tanti ragazzi che hanno partecipato alla “celebrazione” e che con le loro parole hanno messo a nudo le coscienze spesso rilassate e rassegnate degli adulti. Alla vita si sono ispirate le riflessioni di don Maurizio Aloise, di monsignor Giuseppe Fiorillo e di don Gerardo Letizia, sollecitandoci ad una vigilanza, ad una solidarietà e ad un impegno più pieni.

                                                                (Gianfranco Mammone)

(Pubblicato sul numero di "Comunità Nuova" del 15 aprile 2012)

L'anatema di Giovanni Paolo II contro le mafie  

L'intervento di Don Ciotti a Genova, in occasione della "17^ Giornata Nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie"

(Sabato, 21 aprile 2012)

Perchè bisogna dire NO al cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter

Anche se il Governo tiene bloccata da tempo (almeno dalla fine 2009) la decisione definitiva, l’Italia a breve potrebbe perfezionare l’acquisto dei cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35. Il nuovo annuncio del Ministro Di Paola di riduzione a 90 esemplari non significa nulla: nessun contratto è ancora stato firmato e possiamo quindi fermare completamente questo acquisto (anche perchè la proposta rimodulazione della Difesa deve passare per una discussione parlamentare)

Quello del caccia F-35 è un programma che ad oggi ci è costato già 2,7 miliardi di euro ne costerà - in caso di acquisto di 131 aerei - almeno altri 15 solo per l’acquisto dei velivoli, che potrebbero scendere a 10 miliardi con una riduzione a 90 (il prezzo unitario si alzerà, secondo l'azienda produttrice Lockheed Martin). Complessivamente arriveremo arrivando ad un impatto tra i 15 e i 20 miliardi nei prossimi anni. Senza contare il mantenimento successivo di tali velivoli.

Siamo quindi in gioco, come partner privilegiato, nel più grande progetto aeronautico militare della storia, costellato di problemi, sprechi e budget sempre in crescita, mentre diversi altri paesi partecipanti - tra cui Gran Bretagna, Norvegia, Olanda, Danimarca e gli stessi Stati Uniti capofila! - hanno sollevato dubbi e rivisto la propria partecipazione. In questo periodo di crisi e di mancanza di risorse per tutti i settori della nostra società, diviene perciò importante effettuare pressione sul Governo italiano affinché decida di rivedere la propria intenzione verso l’acquisto degli F-35, scegliendo altre strade più necessarie ed efficaci sia nell’utilizzo dei fondi (verso investimenti sociali) sia nella costruzione di un nuovo modello di difesa. L'esempio del programma Joint Strike Fighter deve quindi servire come emblema degli alti sprechi legati alle spese militari e della necessità di un forte taglio delle stesse verso nuovi investimenti più giusti, sensati, produttivi.

Per questo noi diciamo:

NO allo spreco di risorse per aerei da guerra sovradimensionati e contrari allo spirito della nostra Costituzione
SI all’utilizzo di questi ingenti risorse per le necessità vere del paese: rilancio dell’economia, ricostruzione dei luoghi colpiti da disastri naturali, sostegno all’occupazione

NO alla partecipazione ad un programma fallimentare anche nell’efficienza: il costo per velivolo è già passato (prima della produzione definitiva) da 80 milioni di dollari a 130 milioni di dollari (dati medi sulle tre tipologie)
SI all’investimento delle stesse risorse per nuove scuole, nuovi asili, un sostegno vero all’occupazione, l’investimento per la ricerca e l’Università, il miglioramento delle condizioni di cura sanitaria nel nostro Paese

NO al programmi militari pluriennali e mastodontici, pensati per contesti diversi (in questo caso la guerra fredda) ed incapaci garantire Pace e sicurezza
SI all’utilizzo delle risorse umane del nostro Governo e delle nostre Forze Armate non per il vantaggio commerciale dell’industria bellica, ma per la costruzione di vera sicurezza per l’Italia

NO al soggiacere delle scelte politiche agli interessi economici particolari dell’industria a produzione militare e dei vantaggi che essa crea per pochi strati di privilegiati
SI al ripensamento della nostra difesa nazionale come strumento a servizio di tutta la società e non come sacca di privilegi e potere.

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(Mercoledì, 22 febbraio 2012)

 

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CHIESA EVANGELICA VALDESE


 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per leggere

I sentieri della meditazione

Comunità di Bose

Un'introduzione alle via cristiane, induiste e buddiste della meditazione. Se meditare oggi è quasi una "moda", ci viene invece spiegato come la meditazione ha le sue profonde radici nella fede e nella spiritualità. Talvolta è necessario un maestro e bisogna gestire con rigore e prudenza il desiderio di percorrerne ogni via passando da una spiritualità all'altra. (27 agosto 2024)

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Roberto Esposito

I volti dell'avversario - L'enigma della lotta con l'Angelo

Genesi 32,23-33 racconta di una  lotta tra Giacobbe, uno dei patriarchi di Israele, ed un misterioso personaggio al guado dello Iabbòq. Chi è costui? Un altro uomo, un dio, un angelo, un demone, l'ombra di Giacobbe stesso. L'autore compie un complesso percorso, anche con l'aiuto della psicanalisi, dell'arte e di altri scritti che in qualche modo richiamano la vicenda o la ricordano, per tentare di spiegare ciò che è successo. Ma la spiegazione, come per tutte le altre storie della Bibbia, va trovata nel proprio cuore attraverso i propri occhi e la propria sensibilità.  (28 giugno 2024)

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Pietro Stefani

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Storia culturale degli ebrei

Undici capitoli (i primi sette curati da Pietro Stefani e gli altri quattro da Davide Assael) in cui è condensata una storia millenaria. Una storia affascinante che aiuta a comprendere anche l'attualità. In continua tensione tra universale e particolare. (6 maggio 2024)

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Qohelet - La domanda

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A cura di Guido Ceronetti

Il Cantico dei Cantici

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Cos'è il Talmud

Una bella passeggiata che ci introduce all'origine, ai contenuti, alle scuole, ai metodi dell'interpretazione del Talmud. Il Talmud, conclude l'autore, non è mai stato completato, perché l'interpretazione procede sempre. (1 novembre 2023)

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Di fronte alle crisi delle nostre vite una fonte di riparazione può diventare il ritorno in quei luoghi dove ci è possibile riscoprire chi siamo. Così fa Adelaide che, dopo una storia d'amore fallita, ritorna nella sua Val Germanasca dove ritrova Nanà che, in una dimensione di aiuto reciproco, la restituisce alla vita e all'amore. (30 agosto 2023)

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Partendo da un excursus sui "4 Sola" della Riforma di Lutero, l'autrice ci conduce per mano ed in modo semplice a comprendere il significato delle varie diramazioni che la Riforma ha poi preso. L'agevole volume si conclude con alcune considerazioni sullo stato delle chiese protestanti in Italia, ma soprattutto sul significato autentico e attualizzato dello "scisma" della chiesa d'occidente del XVI secolo. (17 agosto 2023) 

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