Il 13 aprile 2015 è morto Eduardo Galeano. Riproponiamo qui il suo "Diritto al delirio".

"Diritto al delirio"

di Eduardo Galeano

Nel 1948 e nel 1976, le Nazioni Unite proclamarono le grandi liste dei diritti umani: tuttavia la stragrande maggioranza dell’umanita' non ha altro che il diritto di vedere, udire e tacere. Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato diritto di sognare? Che direste se delirassimo per un istante?
Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sara' pulita da tutto il veleno che non venga dalla paure umane e dalle umane passioni; nelle strade, le automobili saranno schiacciate dai cani; la gente non sara' guidata dalla automobile, non sara' programmata dai calcolatori, ne' sara' comprata dal supermercato, ne' osservata dalla televisione; la televisione cessera' d’essere il membro piu' importante della famiglia e sara' trattato come una lavatrice o un ferro da stiro; la gente lavorera' per vivere, invece di vivere per lavorare; ai codici penali si aggiungera' il delitto di stupidita' che commettono coloro che vivono per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare; in nessun paese verranno arrestati i ragazzi che rifiutano di compiere il servizio militare; gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, ne' paragoneranno la qualita' della vita alla quantita' delle cose; i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere cucinate vive; gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi; i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse; la solennita' non sara' piu' una virtu', e nessuno prendera' sul serio chiunque non sia capace di prendersi in giro; la morte e il denaro perderanno i loro magici poteri, e ne' per fortuna ne' per sfortuna, la canaglia si trasformera' in virtuoso cavaliere; nessuno sara' considerato eroe o tonto perche' fa quel che crede giusto invece di fare cio' che piu' gli conviene; il mondo non sara' piu' in guerra contro i poveri, ma contro la poverta', e l’industria militare sara' costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sara' una mercanzia, ne' sara' la comunicazione un’affare, perche' cibo e comunicazione sono diritti umani; nessuno morira' di fame, perche' nessuno morira' d’indigestione; i bambini di strada non saranno trattati come spazzatura, perche' non ci saranno bambini di strada; i bambini ricchi non saranno trattati come fossero denaro, perche' non ci saranno bambini ricchi; l’educazione non sara' il privilegio di chi puo' pagarla; la polizia non sara' la maledizione di chi non puo' comprarla; la giustizia e la liberta', gemelli siamesi condannati alla separazione, torneranno a congiungersi, ben aderenti, schiena contro schiena; una donna nera, sara' presidente del Brasile e un’altra donna nera, sara' presidente degli Stati Uniti d’America; una donna india governera' il Guatemala e un’altra il Peru'; in Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, poiche' rifiutarono di dimenticare nei tempi dell’amnesia obbligatoria; la Santa Chiesa correggera' gli errori delle tavole di Mose', e il sesto comandamento ordinera' di festeggiare il corpo; la Chiesa stessa dettera' un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiche' costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacche' le frontiere del mondo e del tempo non conteranno piu' nulla; la perfezione continuera' ad essere il noioso privilegio degli dei; pero', in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sara' vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo.

(Lunedì, 18 maggio 2015)

Promuovere l'educazione sentimentale alla bellezza è una costruzione che richiede tempo e pazienza e, come Mosè, non è detto che riusciremo a concluderla, ma lavorando come se dovessimo finirla, poniamo le basi perchè qualcuno possa sostenerla anche dopo di noi. Se non smitizziamo quello che crediamo di essere, rimaniamo prigioneri solo di noi stessi, dei nostri interessi e delle nostre convinzioni personali.

(Sabato, 9 maggio 2015)

"Bella Ciao" è un canto di Resistenza e di Liberazione che conoscevi già da bambino senza ricordare dove, quando e come l'avessi imparato. "Bella Ciao" è un canto di Resistenza e di Liberazione che unisce tutti i popoli che lottano per la Libertà contro ogni totalitarismo e ogni oppressione.

Buon 25 aprile di Libertà e di Pace. 

Guarda e acolta

Goran Bregovic - Bella Ciao

Sabato, 25 aprile 2015

L’immigrazione è un fenomeno globale che interroga ognuno di noi sulle capacità di accettare, di accogliere, di comprendere, di rispettare e di aiutare l’altro.

Col termine generico di migrante abbiamo una diversità di situazioni e di consistenze numeriche, che dovrebbero attirare la nostra attenzione per non incorrere nei luoghi comuni; che siamo invasi da loro, che vengono a rubarci il lavoro, che sono criminali ecc.

Abbiamo migranti, presenti sul nostro territorio, per ricongiungimenti familiari e sono la maggioranza, altri per studiare nelle nostre università, altri sono venuti e caduti nella rete della criminalità organizzata o nella tratta di essere umani e sono una minima parte, altri ancora, profughi e rifugiati, che scappano dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla violenza e dalla fame.

Molti di loro si lasciano alle spalle un mondo di povertà, di sofferenze e di soprusi, affrontano viaggi estenuanti partendo dai loro paesi d’origine verso le sponde dell’Europa, sono disposti a soffrire, ancora, pur di realizzare i loro sogni. Molto spesso i loro sogni e le loro speranze s’infrangono nel canale di Sicilia.

Ma quanta voglia di vivere, quante speranze di libertà e di un futuro migliore per sé e per i loro figli, c’è in ognuno di loro!

Sono per lo più giovani, uomini e donne, a cui i genitori hanno pagato il viaggio, vendendo le poche cose che possedevano, sono comunità ricostruite in terra d’accoglienza. Sono uomini e donne da aiutare, ma soprattutto, da conoscere, da capire, da valorizzare e a cui offrire un futuro.(Quando i migranti eravamo noi)

E noi?

In questo momento, in Italia, s’incontrano difficoltà a parlare dei migranti, ad interessarsi di loro, alcune persone vorrebbero mandarli via, altre vorrebbero costruire muri e barriere, altre ancora rinchiuderli in ghetti. Si ha paura.

Non è questa la soluzione alle problematiche sociali, politiche, economiche, culturali e religiose, che immancabilmente, gli immigrati portano con sé.

Non è questo il modo di comportarsi di un essere umano verso altri esseri umani, bisognosi di accoglienza, di solidarietà, di collaborazione.

Molto spesso non ci accorgiamo, perché non riusciamo a vedere oltre noi stessi, oltre l’aspetto esteriore delle persone, oltre il nostro modo di vivere, oltre la nostra casa, di quanta storia, cultura, tradizioni e umanità è ricca la persona del migrante.

Il corso della storia ci sta portando il mondo in casa e ci chiede di fare memoria della nostra storia personale e di popolo, ci chiede di allargare i nostri orizzonti, ci chiede di conoscere le persone per non temerle. Ci chiede di guardare oltre.

(Teresa Melissari)

(Sabato, 11 aprile 2015)

Continuiamo il percorso intrapreso con le prime due riflessioni di questo blog, occupandoci oggi di un’altra parola chiave: “prossimità”. A primo avviso può sembrare una parola difficile e anche ostica. Un amico, dopo avergliela pronunciata, mi ha chiesto stupito cosa significasse. La risposta però non è complicata, non richiede grandi elaborazioni filosofiche, si può condensare in: “relazione”. La prossimità è relazione, ossia spendersi quotidianamente per qualcosa, o meglio per qualcuno che vada oltre il proprio sé. La prossimità cammina insieme alla responsabilità, perché per essere prossimi bisogna diventare responsabili. Non ci può essere prossimità senza responsabilità. Forse ciò ci può deprimere, temendo di rimanere schiacciati dal peso di qualcosa che da soli non riusciamo a sopportare e dall’idea di dovere cambiare. Si il cambiamento è necessario, la conversione pure, ma la prossimità non deve farci paura perché può e deve essere esercitata insieme agli altri, portandoci dietro ciò che siamo, le nostre piccole grandi storie, comunque uniche e irripetibili, con umiltà e sopratutto nella nostra alterità, con la speranza che le nostre relazioni siano sempre più fertili e feconde. Perchè siamo fatti di relazioni e possiamo, dobbiamo pensare di poterci spendere per qualcosa che vada oltre il nostro sé, senza la pretesa di cambiare il mondo, ma con la speranza di poterlo un tantino migliorare comunicando, partecipando, mettendoci in relazione e anche in discussione. La prossimità richiede quindi l’uscita da noi stessi, non però per annullarci, ma per arricchirci del rapporto con il fratello, con chi nella nostra storia ci interpella e noi stessi interpelliamo. La prossimità è nemica poi dell’indifferenza, richiede e pretende la vicinanza intesa non solo in senso fisico, ma anche in una prospettiva etica e morale pure con chi è lontano da noi con il corpo. Questo vale sopratutto nel mondo globale in cui viviamo, nel quale il nostro piccolo microcosmo è intimamente legato e partecipe delle gioie, delle sofferenze, delle vicende di tutta l’umanità. Diceva Santa Teresa di Lisieux “So che niente dipende da me, ma parlo e agisco come se tutto dipendesse da me”: questo vuol dire essere prossimi.

(Pubblicato su www.uildmchiaravalle.org)

Chiaravalle Centrale, 14 marzo 2015

 

Alla conclusione della precedente riflessione ci siamo lasciati con tre parole chiave: “responsabilità”, “prossimità” e “concretezza”. Mi piacerebbe ora provare ad approfondire la prima di quelle tre parole, ossia “responsabilità”. Se facciamo un giro su internet e interroghiamo Wikipedia o il vocabolario Treccani troveremo diverse definizioni della parola “responsabilità”. Molte di esse hanno un’accezione legalistica. Non è da questo punto di vista che desidero affrontare l’argomento. Piuttosto, voglio partire dal passo di Genesi 4,9: Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?»
    E’ proprio nella domanda del Signore a Caino e nella risposta di quest’ultimo che possiamo trovare la via per rispondere alla domanda su cosa sia la responsabilità. Caino in effetti non risponde a ciò che Dio gli aveva chiesto, ma pone a sua volta un'altra domanda che in sostanza è una via di fuga dalle proprie responsabilità. Anche noi di fronte alle tante domande del nostro tempo e della nostra coscienza siamo tentati a dare una risposta come quella di Caino: sono forse io il custode di...? Sono forse io il custode dei migranti che muoiono nel mediterraneo? Sono forse io il custode dei disabili? Sono forse io il custode dei poveri? Sono forse io il custode dei fratelli che chiedono il mio aiuto? Sono forse io il custode di questa nostra Terra sempre più violentata e oppressa per la volontá di sfruttamento e l'ingordigia del denaro e del potere? Sono forse io il custode delle vittime dell’arroganza e della violenza mafiosa? Il peso delle questioni in gioco offre, quindi, pure a noi una comoda via di fuga, perché ci appaiono come fardelli così pesanti e insopportabili che la risposta piú immediata sarebbe: “non sono io che debbo salvare il mondo”.
    Il rifluire nel privato deriva proprio dalla difficoltà di comprendere questi interrogativi e tale afasia ci opprime a tal punto dal costringerci spesso alla resa, dal “rifiutarci” addirittura di rispondere. La chiave di volta sta però sempre nella nostra coscienza. É bello ascoltare la nostra coscienza, perché è lí che sta il primato della nostra natura di uomini. É indispensabile praticare un'ecologia della coscienza, scavarvi a fondo per ritrovare il senso del vivere qui e ora. Il frutto prezioso dell'ascolto puó essere quello della nostra "conversione" che non va intesa come l'adesione ad una qualsiasi religione, ma come un cambiamento di paradigma, una mutazione dei nostri comportamenti, delle nostre prassi quotidiane. Allora possiamo dire che il valore della responsabilitá é nell'ascolto, perché l'ascolto ci permette di connetterci con noi stessi e con gli altri. L’ascolto a sua volta richiede la pazienza e l’abbandono della superficialità, dell’indifferenza e di quella forma di pigrizia che va sotto il nome di acedia, che poi è l’altro significato dell’indolenza.
    La responsabilità esige poi la serietà, che non vuol dire essere seriosi, ma interpretare la nostra vita come un dono che possiamo spendere insieme agli altri, sentendoci parti di un tutto che va aldilà della somma di tutte le nostre vite. Solo così il fardello, che ci può apparire a prima vista così pesante, potrà trasformarsi in una grande opportunità di costruire qualcosa di bello, qualcosa che diventa costruzione di comunità, aiutandoci a non sprecare le nostre vite. (pubblicato pure su uildmchiaravalle.org)

In questo nostro tempo nel quale, come giustamente dice Papa Francesco, è in corso la terza guerra mondiale, non possiamo e non dobbiamo perdere la speranza. 

Di seguito, riportiamo alcune riflessioni tratte dallo storico e coraggioso discorso che il presidente egiziano "Anwar Al-Sadat pronunciò alla Knesseth - il parlamento israeliano - il 20 novembre 1977. Un discorso che rese irrevresibile la ricerca dell'accordo di pace.

"Signore e signori, ci sono momenti nella vita delle nazioni e dei popoli in cui diventa fondamentale che coloro che posseggono saggezza e chiarezza di visione sorveglino i problemi, in tutta la loro complessità, per proseguire con coraggio verso nuovi orizzonti...Dobbiamo innalzarci tutti al di sopra di ogni teoria obsoleta di superiorità, e la cosa più importante da tenere a mente è che mai dobbiamo dimenticare che l'infallibilità è prerogativa esclusiva di Dio...Qualsiasi vita perduta in una guerra è una vita umana, sia essa araba o israeliana. Una moglie che diventa vedova è un essere umano privato di una vita felice con la propria famiglia, araba o israeliana che sia...I bambini innocenti, sottratti alle cure e alla compassione dei genitori, sono orfani di tutti noi. Tutti, sia che vivano in terra araba o israeliana. Sono loro a chiederci di essere responsabili, così da garantire una vita tranquilla adesso e in futuro. Nel loro nome, nel nome della vita dei nostri figli e dei nostri fratelli, per concedere alle nostre comunità di lavorare per il progresso e la felicità del genere umano, per sentirsi al sicuro con il dirittto di vivere una vita dignitosa, per le generazioni che verrano, per il sorriso sul viso di ogni bambino nato nelle nostre terre, per tutti questi motivi ho deciso di presentarmi qui nonostante i pericoli, per consegnarvi un messaggio...Signore e signori, la pace non è semplice sostegno alle parole scritte. E' piuttosto una riscrittura della storia. La pace non è un gioco a cui si ricorre per difendere alcuni capricci o mascherare determinate ammissioni. Nella sua essenza, la pace è una lotta tremenda contro tutte le ambizioni e tutti i vani desideri...Tu, madre in pena, e tu, vedova, tu, figlio che ha perso il padre o il fratello, tutte le vittime della guerra, riempite l'aria con canti di pace, riempite i vostri cuori con aspirazioni di pace. Create qualcosa che sbocci e viva. Fate della speranza un codice di comportamento e un incentivo allo sforzo..."

(Domenica, 15 febbraio 2015)

Don Luigi CiottiCon questa prima riflessione ha inizio la mia collaborazione con il blog della Uildm di Chiaravalle Centrale. Desidero ringraziare il mio amico, Giovanni Sestito, presidente della sezione, per avermi dato l'opportunità di utilizzare questo spazio.
    Ho deciso di chiamare questa rubrica “dalla parte di…”. L’ispirazione mi è arrivata dalla lettura di Apocalisse 3.16 “Tu non sei né freddo né caldo e proprio perché sei tiepido, io sto per vomitarti dalla mia bocca”. Sono parole forti, forse “violente”, ma invitano ognuno di noi a non essere indifferente, ad abbandonare l’ignavia, condannata da Dante nella Divina Commedia. Nella vita di ogni giorno siamo posti continuamente di fronte a situazioni davanti alle quali siamo chiamati a scegliere da che parte stare.
    Le parole del Libro dell’Apocalisse mi hanno anche aiutato a riflettere sulla retorica che da più parti si è manifestata in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, retorica secondo la quale lo stesso deve essere un “arbitro imparziale”. Credo che molti hanno usato tale definizione in perfetta buona fede e lo stesso Sergio Mattarella, nel suo discorso al Parlamento dopo l’elezione, si è definito tale: un arbitro imparziale. Ma, la concezione di imparzialità è potenzialmente ambigua, può contenere tutto e niente, di per se non è indice di particolari significati. Faccio un esempio, sperando di non essere frainteso. Davanti alla nostra Carta Costituzionale tale espressione ha poco senso, perché la nostra Costituzione e i principi fondamentali che la stessa esprime vanno difesi strenuamente e per difenderli non si può essere imparziali, si deve stare con nettezza dalla loro parte.
    Scegliere la parte con cui stare, può essere doloroso, può comportare scelte, anche difficili, “non convenienti”, ma che vanno compiute nel santuario inviolabile della nostra coscienza.
    Tornando alle Sacre Scritture, Pilato sostanzialmente non scelse e la sua “imparzialità” provocò la tortura e la morte ignominiosa di un innocente.
    Il 27 gennaio abbiamo celebrato la Giornata della Memoria: le persone che diedero rifugio o, comunque, salvarono migliaia di ebrei, scelsero da che parte stare: da quella del bene, contro l’orrore e il male assoluto.
    Un’associazione come la Uildm ha scelto da che parte stare, da quella delle persone con disabilità, per affermare e difendere i loro diritti e la loro dignità.
    Altra recente fonte di ispirazione sono state le parole di don Luigi Ciotti, una persona che da tempo, con coerenza, a rischio della propria vita, ha scelto da che parte stare. Nel corso dell’assemblea regionale di Libera, svoltasi a Villaggio Mancuso dal 30 gennaio al 1° febbraio scorso, alla quale ho partecipato, ci ha spronato ancora una volta a scegliere, a non restare nell’ambiguità e a non rimanere a guardare, lasciandoci tre parole chiave e una esortazione. Queste parole chiave sono “responsabilità”, “prossimità” e “concretezza”. L’esortazione, rifacendosi al pensiero di don Tonino Bello, è “essere sovversivi”, come è “sovversivo” il Vangelo.  (pubblicato su www.uildmchiaravalle.org)

(Martedì, 10 febbraio 2015)

I terribili fatti di Parigi hanno scatenato la canea degli sciacalli e degli imprenditori della paura, che pur di lucrare qualche misero voto o effimero consenso sono sempre pronti a sputare odio dall'alto del loro "elevatissimo" senso di "tolleranza". Di questi campioni, gli oscuri Marine Le Pen, Gasparri, Salvini, Borghezio, Calderoli (ricordiamoci gli effetti la sua "tragica" maglietta), ne rappresentano la punta più triste, ma estremamente pericolosa. Se si vuole riflettere seriamente su certi avvenimenti non si può che rispondere con le parole di Martin Luther King "L'oscurità non può allontanare l'oscurità, solo la luce può farlo. L'odio non può allontanare l'odio, solo l'amore può farlo" e ripetendo che "la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta", come fa il grande Tiziano Terzani in questa lettera aperta, datata ottobre 2001, in risposta all’articolo “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci, che la scrittrice aveva pubblicato all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre  Il Sultano e San Francesco. Non possiamo rinunciare alla speranza.

(Sabato, 10 gennaio 2015)

Quello che mi ha più colpito della bellissima esegesi biblica di Roberto Benigni, è la spiegazione del secondo comandamento: "non nominare il nome di Dio invano". Il nome di Dio è talmente alto che non lo possiamo usare per la nostra vanità, per scagliarlo contro gli altri, per usarlo come una clava nella violenza e nella guerra. Non ci è permesso e non era neanche permesso a quel gruppo di criminali che ieri in Pakistan ha ucciso più di 140 bambini.

(Mercoledì, 17 dicembre 2014)

(La rabbina Barbara Aiello)Ieri la trasmissione di Radio Tre "Uomini e Profeti" ha ospitato la rabbina Barbara Aiello, che ha fondato a Serrastretta, in provincia di Catanzaro, l'unica sinagoga del meridione. Ma la particolarità della sua figura non è solo questa. Lei è un'ebrea riformata e ha tutte le "prerogative" del sacredozio, addirittura benedice, con una particolare cerimonia, le coppie omosessuali. Ascoltandola, molto prosaicamente, ti viene da pensare: "guarda questi qua, hanno messo la freccia e ci hanno sorpassato". Ci sarebbe da chiedersi, senza la pretesa di avere risposte già pronte in tasca, perchè, se come cristiani e cattolici crediamo di salvarci non per effetto dell'osservanza della legge, ma solo in virtù della grazia, non consentiamo alle donne (che ormai sono il 90 per cento delle persone che partecipano alle nostre assemblee liturgiche) di diventare sacerdotesse? Perchè i nostri sacerdoti non possono sposarsi e perchè non benediciamo pure noi le coppie omosessuali, che pure sono espressioni dell'amore tra le persone e quindi dell'amore di Dio? Di che cosa abbiamo paura?

(Domenica 14 dicembre 2014)

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