Questo brano è tratto dal primo capitolo dello scritto di Gandhi From Yeravda Mandir.  Ci spiega la sua concezione della Verità.

"...Dove c'è verità c'è anche vera conoscenza. E dove non c'è verità non vi può essere vera conoscenza. E' per questo che la parola Chit o conoscenza è associata al nome di Dio. E dove c'è vera conoscenza c'è sempre felicità (Ananda). Il dolore non vi ha posto. E come la verità è eterna, così è la felicità che da essa deriva. Perciò noi chiamo Dio Satchit-ananda, l'Essere che riunisce in Sé la Verità, la Conoscenza e la Felicità.

La devozione a questa Verità è la sola giustificazione alla nostra esistenza. Tutte le nostre azioni devono tendere alla Verità. La Verità deve essere il nostro spirito vitale. Una volta giunti a questo stadio nella conquista della Verità tutti gli altri principi che conducono ad una vita giusta ci si riveleranno senza sforzo, e l'obbedienza ad essi sarà istintiva. Ma senza Verità nella vita è impossibile osservare alcuna regola e alcun principio.

In generale si pensa che l'osservanza della legge della Verità significhi semplicemente dire la verità. Ma noi che facciamo parte dell'ashram dobbiamo intendere la parola Satya o verità in un senso molto più vasto. Vi deve essere Verità nel pensiero, Verità nelle parole, e Verità nelle azioni. Per l'uomo che ha realizzato questa verità nella sua interezza non rimane nient'altro da conoscere, perchè in essa è compresa ogni conoscenza. Ciò che non vi è compreso non è Verità, e dunque non è vera conoscenza; e non vi può essere pace interiore senza vera conoscenza. E una volta appreso come mettere in pratica questo infallibile metodo della Verità, saremo immediatamente in grado di comprendere quello che è giusto fare, quello che è giusto vedere, quello che è giusto leggere.

Ma come realizzare questa Verità, che può essere paragonata alla pietra fllosofale o alla vacca dell'abbondanza? Attraverso l'assoluta devozione (abhyasa) e l'indifferenza per tutti gli altri interessi della vita (vairagya) - risponde il Bhagavadgita. Tuttavia, malgrado tale devozione, ciò che sembra vero ad una persona può sembrare falso ad un'altra. Ma questo non deve scoraggiare colui che ricerca la Verità. Se vi è un'aspirazione sincera, si comprenderà che quelle che sembrano differenti verità in realtà sono le innumerevoli e apparentemente differenti foglie di uno stesso albero. Lo stesso Dio non viene forse concepito dai diversi individui sotto forme diverse? Eppure noi sappiamo che Egli è uno. E Verità è il giusto appellativo di Dio. Perciò è giusto che ogni uomo persegua la verità in accordo con le proprie convinzioni. Far ciò è anzi suo dovere. E se in chi persegue la Verità vi è qualche errore, questo sarà automaticamente corretto. La ricerca della verità richiede tapas, sofferenza, a volte anche fino alla morte. In essa non vi è può essere posto neanche per una parvenza di interesse. In questa ricerca disinteressata della Verità nessuno può perdere a lungo la giusta direzione. Appena imboccata la via sbagliata vacilla, e quindi è ricondotto sulla giusta via. Dunque la ricerca della verità è vera bhakti (devozione). E' la via che conduce a Dio. In essa non vi è posto per la codardia, non vi è posto per la sconfitta. Essa è il talismano grazie al quale la morte diviene l'ingresso nella vita eterna."

Mohandas K. Gandhi

(Teoria e pratica della non-violenza)

(Domenica, 16 agosto 2015)

Stimolare e approfondire il processo del cambiamento, vivere bene in armonia con la Madre Terra,  sostenere un lavoro dignitoso, migliorare i nostri quartieri e costruire abitazioni dignitose, difendere la Terra e la sovranità alimentare, costruire la pace e la cultura dell'incontro, combattere la discriminazione, promuovere la libertà di espressione, mettere scienza e tecnologia e servizio dei popoli, respingere il consumismo e sostenere la solidarietà come progetto di vita: sono questi i dieci punti della Carta di Santa Cruz elaborata in occasione dell'incontro mondiale dei Movimenti Popolari, tenutosi in Bolivia dal 7 al 9 luglio 2015 e al quale ha partecipato anche Papa Francesco. Sono impegni importanti ai quali tutti possiamo dare un contributo a partire dalle nostre vite quotidiane. Qui sotto il documento completo.

Carta de Santa Cruz

Le organizzazioni sociali riunite nel Secondo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, nei giorni 7-8-9 luglio 2015, concordano con il Papa Francesco sul fatto che le problematiche sociale e ambientale emergono come due facce della medesima moneta. Un sistema incapace di garantire terra, casa e lavoro per tutti, che mina la pace tra le persone e mette a rischio la stessa sopravvivenza della Madre Terra, non può continuare a gestire il destino del pianeta.

Dobbiamo superare un modello sociale, politico, economico e culturale in cui il mercato e il denaro si sono convertiti nei regolatori delle relazioni umane a tutti i livelli. Il nostro grido, il grido dei più esclusi e marginalizzati, obbliga i potenti a comprendere che non si può continuare così. I poveri del mondo si sono sollevati contro l’esclusione sociale che soffrono quotidianamente. Non vogliamo sfruttare, né essere sfruttati. Non vogliamo escludere né essere esclusi. Vogliamo costruire un modo di vita nel quale la dignità innalzi sopra tutte le cose.

Per questo ci impegniamo a:

1. Stimolare e approfondire il processo del cambiamento.

Riaffermiamo il nostro impegno nei processi di trasformazione e liberazione come risultato dell’azione dei popoli organizzati che, a partire dalle loro memorie collettive prendono la storia nelle loro mani e decidono di trasformarla per dar vita alle speranze e alle utopie che ci chiamano a rivoluzionare le strutture più profonde di oppressione, dominazione, colonizzazione e sfruttamento.

2. Vivere bene, in armonia con la Madre Terra

Continueremo a lottare per difendere e proteggere la Madre Terra, promuovendo l’ “ecologia integrale” di cui parla il papa. Siamo fedeli alla filosofia ancestrale del “Ben vivere”, nuovo ordine di vita che propone armonia e equilibrio nelle relazioni tra gli esseri umani e tra questi e la natura. La terra ci appartiene e noi apparteniamo alla terra. Dobbiamo occuparcene e lavorarla a beneficio di tutti. Vogliamo leggi ambientali in tutti i paesi, in funzione della cura de beni comuni. Esigiamo la riparazione storica e una demarcazione giuridica che garantisca i diritti dei popoli indigeni a livello nazionale e internazionale promuovendo un dialogo sincero per superare i diversi e molteplici conflitti che attraversano i popoli indigeni, nativi, contadini e afrodiscendenti.

3. Sostenere un lavoro dignitoso

Noi ci impegniamo a lottare a difesa del lavoro come diritto umano. Per la creazione di fonti di lavoro dignitoso, per la progettazione e realizzazione di politiche che restituiscano a tutti i diritti del lavoro eliminati dal capitalismo neoliberista, come il sistema di sicurezza sociale, le pensioni e il diritto di sindacalizzazione. Respingiamo la precarizzazione, la terziarizzazione e vogliamo che si superi il lavoro informale con l’inclusione, e che non siano mai utilizzati persecuzione e repressione. Sosteniamo anche la causa dei migranti, delle persone costrette a spostarsi, dei rifugiati.   Chiediamo con forza ai governi dei paesi ricchi che deroghino da tutte le norme che prevedono trattamenti discriminatori contro di loro e che vengano stabilite forme di regolarizzazione che eliminino il lavoro schiavo, il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del bambini.

Spingeremo verso forme alternative di economia, tanto in aree urbane che in zone rurali. Vogliamo un’economia popolare e sociale comunitaria che protegga la vita delle comunità e che la solidarietà prevalga sul profitto. Per questo è necessario che i governi sostengano gli sforzi che provengono dalle basi sociali.

4. Migliorare i nostri quartieri e costruire abitazioni dignitose

Denunciamo la speculazione e la mercantilizzazione dei terreni e dei beni urbani. Respingiamo gli sgomberi forzati, l’esodo e la crescita degli agglomerati marginalizzati. Respingiamo qualsiasi tipo di persecuzione giudiziaria contro chi lotta per una casa per la sua famiglia, perché riteniamo che l’abitazione sia un diritto umano fondamentale che deve avere carattere universale.

Esigiamo politiche pubbliche partecipative che garantiscano il diritto alla casa, all’integrazione urbana dei quartieri marginalizzati e l’accesso integrale all’habitat per edificare case con sicurezza e dignità.

5. Difendere la Terra e la sovranità alimentare

Vogliamo la riforma agraria integrale per distribuire la terra in modo giusto e equo. Richiamiamo l’attenzione dei popoli verso la nascita di nuove forme di accumulazione e speculazione su terra e territorio, trattati come merci, legati all’agrobusiness che promuove la monocultura distruggendo la biodiversità, consumando e contaminando l’acqua, facendo spostare popolazioni contadine e utilizzando veleni agricoli che contaminano gli alimenti.

Riaffermiamo la nostra lotta per l’eliminazione definitiva della fame, per la difesa della sovranità alimentare e per la produzione di alimenti sani. Rifiutiamo con forza la proprietà privata dei semi da parte dei grandi gruppi industriali, così come l’introduzione di prodotti transgenici, che sostituisco quelli nativi, poiché distruggono la riproduzione della vita e della biodiversità, creano dipendenza alimentare e causano effetti irreversibili sulla salute degli essere umani e sull’ambiente. In questo senso riaffermiamo la difesa delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni in relazione all’agricoltura sostenibile.

6. Costruire la pace e la cultura dell’incontro.

Ci impegniamo, a partire dalla vocazione pacifica dei nostri popoli, a intensificare le azioni collettive che garantiscano la pace tra tutte le persone, i popoli, le religioni, le etnie e le culture.

Riaffermiamo la pluralità delle nostre identità culturali e tradizionali che devono convivere armoniosamente senza che alcune si sovrappongano sulle altre. Noi ci leviamo contro la discriminazione della nostra lotta, perché stanno criminalizzando i nostri costumi.

Condanniamo qualsiasi tipo di aggressione militare e ci mobilitiamo perché cessino immediatamente tutte le guerre e le azioni destabilizzatrici o i colpi di Stato che attentano alla democrazia e alla volontà dei popoli liberi. Rifiutiamo l’imperialismo e le nuove forme di colonialismo, militari, finanziarie o mediatiche. Ci pronunciamo contro l’impunità dei potenti e a favore della libertà dei lottatori sociali.

7. Combattere la discriminazione

Noi ci impegniamo a lottare contro qualsiasi forma di discriminazione tra esseri umani, sia per differenze etniche, colore della pelle, genere, origine, età, religione o orientamento sessuale. Tutte e tutti, donne e uomini dobbiamo avere gli stessi diritti. Condanniamo il maschilismo, qualsiasi forma di violenza contro la donna, in particolare il femminicidio e gridiamo: Non una di meno!

8. Promuovere la libertà di espressione

Promuoviamo lo sviluppo dei mezzi di comunicazione alternativi, popolari e comunitari, di fronte all’avanzare dei monopoli mediatici che nascondono la verità. L’accesso all’informazione e alla libertà di espressione sono diritti dei popoli e fondamento di qualsiasi società che si pretenda democratica, libera e sovrana.

La protesta è una forma legittima di espressione popolare. E’ un diritto e quelli che lo esercitano non devono essere perseguitati.

9. Mettere scienza e tecnologia e servizio dei popoli

Ci impegniamo a lottare perché scienza e conoscenze siano utilizzate a servizio del benessere dei popoli. La scienza e la conoscenza sono conquiste di tutta l’umanità e non possono essere a servizio del profitto, dello sfruttamento, della manipolazione o dell’accumulazione di ricchezze da parte di alcuni gruppi. Vogliamo che le università si riempiano di gente e le conoscenze siano orientate a risolvere i problemi strutturali più che a generare ricchezze per le grandi corporation. Vogliamo denunciare e controllare le multinazionali farmaceutiche che, da un lato lucrano espropriando conoscenze millenarie dei popoli nativi e dall’altro speculano e generano profitti sulla salute di milioni di persone, mettendo gli affari prima della vita.

10. Respingiamo il consumismo e sosteniamo la solidarietà come progetto di vita personale e collettiva.

Ci impegniamo a lottare contro l’individualismo, l’ambizione, l’invidia e l’avidità che si annidano nella nostra società e spesso in noi stessi. Lavoreremo instancabilmente per sradicare il consumismo e la cultura dello spreco. Continueremo a lavorare per costruire ponti tra i popoli che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento.

(Giovedì, 13 agosto 2015)       

La vicenda greca rivela una nuova forma di colonialismo, condotto con il consenso dei paesi occupati, anche se sotto un ricatto assolutamente inedito. È un esperimento in corso e gli esiti dello stress test sono incerti. Ma una cosa è certa: qualunque sia il risultato, l’Europa non sarà più la stessa

L’Europa è diventata un laboratorio per il futuro. Ciò che sta succedendo lì dovrebbe essere motivo di preoccupazione per tutti i democratici e specialmente per chiunque sia di sinistra. Due esperimenti in questo momento stanno venendo messi in pratica - e quindi, presumibilmente, stanno venendo controllati - in questo ambiente di laboratorio.

Il primo esperimento è uno stress test sulla democrazia, la cui ipotesi di fondo è la seguente: la volontà democratica di un paese forte può abbattere non democraticamente la volontà democratica di un paese debole senza intaccare la normalità della vita politica europea. I prerequisiti del successo dell’esperimento sono tre: il controllo dell’opinione pubblica che permette che gli interessi nazionali del paese più forte si trasformino nell’interesse comune dell’eurozona; il proseguimento, da parte di un gruppo di istituzioni non elette (Eurogruppo, Bce, Fmi, Commissione Europea), nella neutralizzazione e nella punizione di ogni decisione democratica che disobbedisca ai diktat del paese dominante; la demonizzazione del paese più debole così da assicurarsi che non ottenga comprensione dagli elettori degli altri paesi europei, specialmente nel caso di elettori di paesi che potrebbero disobbedire.

La Grecia è la cavia di questo agghiacciante esperimento. Stiamo parlando della seconda operazione di colonialismo del ventunesimo secolo (dal momento che la prima è stata la Missione di stabilizzazione ad Haiti nel 2004). È un nuovo colonialismo, condotto con il consenso dei paesi occupati, anche se sotto un ricatto assolutamente inedito. E, proprio come il vecchio colonialismo, la giustificazione che ora viene data è che tutto ciò che avviene sia nell’interesse del paese occupato. E’ un esperimento in corso e gli esiti dello stress test sono incerti. A differenza dei laboratori, le società non sono ambienti controllati, a prescindere dalla pressione che si esercita per tenerle sotto controllo. Una cosa è certa: una volta che l’esperimento sarà finito, e qualunque sia il risultato, l’Europa non sarà più l’Europa di pace, coesione sociale e democrazia. Al contrario, diverrà l’epicentro di un nuovo dispotismo occidentale, la cui brutalità rivaleggerà con quella del dispotismo orientale già analizzato da Karl Marx, Max Weber e Karl Wittfogel .

Il secondo esperimento in atto è un tentativo di liquidare definitivamente la sinistra europea.

La sua ipotesi di fondo è la seguente: non c’è spazio in Europa per la sinistra fintanto che insista per un’alternativa alle politiche di austerità imposte dal paese che è egemone. I prerequisiti per il successo di questo esperimento sono tre. Il primo consiste nel causare una sconfitta preventiva dei partiti di sinistra , punendo con violenza quelli che osano disobbedire. Il secondo consiste nel far credere agli elettori che i partiti di sinistra non li rappresentano. Fino ad ora la nozione che “i nostri rappresentanti non ci rappresentano più” era l’argomento principale del movimento degli Indignados e di Occupy, rivolto contro i partiti di destra e i loro alleati. Ora che Syriza è stata costretta a bere la cicuta dell’austerità – nonostante il “No” del referendum greco convocato da Syriza stessa -, gli elettori saranno sicuramente portati a concludere che, comunque vada a finire, anche i partiti di sinistra abbiano fallito nel rappresentarli. Il terzo prerequisito consiste nell’intrappolare la sinistra in un falsa contrapposizione tra scelte del Piano A e scelte del Piano B. Negli ultimi anni la sinistra si è divisa tra coloro che credevano che la cosa migliore da fare fosse rimanere nell’euro e tra coloro che credevano che la cosa migliore da fare fosse lasciare l’euro. Delusione: nessun paese può lasciare l’euro in maniera ordinata, ma, se un paese dovesse mostrare di essere disobbediente, sarà espulso e il caos si abbatterà su di lui inesorabilmente. Allo stesso modo chiedono una ristrutturazione del debito, che si è dimostrato essere un tema molto divisivo per la sinistra. Delusione: la ristrutturazione avrà luogo quando sarà funzionale agli interessi dei creditori – che è la ragione per cui l’altra questione principale della sinistra è ora divenuta la politica del FMI.

Gli esiti di questo esperimento sono parimenti incerti, per le ragioni sopra esposte. Tuttavia, una cosa è certa: per sopravvivere a questo esperimento la sinistra avrà bisogno di rifondare se stessa al di là di ciò che oggi è immaginabile. Servirà molto coraggio, molta audacia e molta creatività.

Boaventura de Sousa Santos

(traduzione di Bruno Montesano)

(Sabato, 1 agosto 2015)

Pubblicato il 27 luglio 2015 su www.sbilanciamoci.info

Il popolo greco non ha avuto paura. Come aveva chiesto Alexis Tsipras, ha votato con "il sangue freddo". Anche il "nostro caro leader" aveva "gufato" (Renzi, si dice così, no?). A dimettersi adesso dovrebbero essere i soloni dell'eurogruppo. Ora un'altra Europa, quella della politica con la P maiuscola e della solidarietà.

(Domenica, 5 luglio 2015)

La durezza "punitiva" che l'eurogruppo sta usando nei confronti del popolo greco non ha altra spiegazione se non quella di ridurre al silenzio chi ha osato dire una parola "altra", rispetto al "pensiero unico" dominante e al neo turbo-capitalismo e ordoliberismo che salva le banche e le grandi multinazionali abbandonando i popoli al loro destino. Non c'è alcuna ragione economica che giustifica un tale atteggiamento di chiusura. Il pil greco rappresenta solo l'1% dell'intero pil dell'eurozona e il debito ellenico il 3% del suo debito totale. Ci sono però forti "ragioni politiche". Non si può permettere che il caso Grecia crei un precedente dal quale si possa ripartire per la costruzione di un'altra Europa, un'Europa più solidale e meno dominata dalle grandi lobbies economiche e dai gigantesti interessi finanziari. La stessa Germania, che è così intransigente, dovrebbe ricordarsi che ha beneficiato di ben tre salvataggi nel corso del Novecento. Senza quei salvataggi non sarebbe mai diventata la grande potenza economico-finanziaria che è oggi. Ci viene spiegato bene in quest'articolo de "Il Sole 24ore" Il più grande debito condonato? E' stato quello tedesco...

(Venerdì, 3 luglio 2015)

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CHIESA EVANGELICA VALDESE


 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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