Mi capita spesso di sentire “forti” richiami all’unità da parte di politici di ogni colore, di parroci, di personalità varie. E mi capita sempre più spesso di chiedermi che significato abbiano. Anche lo scorso giovedì sera qualcuno diceva: “dobbiamo camminare uniti, perché se ognuno rema per fatti suoi non si va da nessuna parte”. Così mi chiedo se, oltre all’abbondante retorica di cui sono infarcite, frasi come questa nascondano o, meglio, rendano evidente la voglia di vedere tutti omologati al pensiero unico, che poi è quello di chi di volta in volta, nell’ambito in cui opera, detiene le leve del comando. Allora c’è molto da riflettere, perché può capitare a chiunque esprima un pensiero leggermente diverso, un modo alternativo di guardare ed interpretare la realtà, di essere accusato di disfattismo, di agire contro il bene comune, di rompere l’armonia. Una tale condizione è di una pericolosità sociale estrema. Probabilmente si confonde, o si manipola, il concetto di unità con quello di conformismo. L’unità, d’altro canto, può non essere un valore in assoluto: si può essere uniti anche nel compiere il male. L’unità può diventare un valore se deriva dall’ascolto reciproco, dalla valutazione e dalla sintesi delle diverse posizioni e anche in quest’accezione bisogna, comunque, riconoscere il diritto e la libertà a ciascuno di non condividere, di dissociarsi. Proprio in questa libertà risiede la coscienza dell’uomo, la sua capacità di discernere e di scegliere. Proprio questa libertà ha donato il Signore agli uomini, quando nel giardino dell’Eden “concesse” ad Adamo e Eva di mangiare dell’albero della conoscenza.
(Lunedì, 13 aprile 2009)