L’altra sera ho visto il film “L’ultimo pellerossa” di Y. Simenau. Racconta la storia di come, quasi sul finire dell’ottocento, gli Stati Uniti d’America espropriarono le terre degli indiani nativi d’America. Quelle terre erano tutto per gli indiani, assicuravano loro la sopravvivenza materiale, ma anche spirituale perché alcune erano veri e propri luoghi sacri e di culto. Con l’inganno di accordi poi non mantenuti, ma soprattutto con la violenza delle armi, i nativi furono costretti ad abbandonare i territori che da secoli occupavano con le loro tribù ed a insediarsi nelle riserve dove furono preda di fame e malattie. Si consumò un vero e proprio genocidio nel nome delle strade ferrate e del progresso. E’ una storia che andrebbe raccontata anche nelle scuole perché i ragazzi dovrebbero sapere da dove veniamo, qual è stato il prezzo della modernità e come intere popolazioni e culture furono violentate e sradicate. Ma, la storia la scrivono sempre i vincitori.
Bisognerebbe anche avere il coraggio di chiedere scusa e riconoscere equi risarcimenti ai discendenti di quei popoli, alcuni dei quali coraggiosamente hanno ancora la forza di combattere battaglie legali contro il governo degli Stati Uniti.
Facendo il parallelo, viene poi da pensare alle “grida”, ormai quotidiane, sui pericoli dell’invasione dei migranti, che con le “carrette del mare” sbarcano sulle nostre coste alla ricerca di un po’ di fortuna, ed ai conseguenti provvedimenti dei diversi “pacchetti sicurezza”. Chissà quali pacchetti sicurezza avrebbero adottato, se avessero potuto, gli indiani nativi d’America e tutti i popoli prevaricati con la violenza, in nome della civiltà, contro gli invasori europei?
(Giovedì, 23 aprile 2009)