Il brutale atto di violenza commesso da un cittadino rumeno che ha portato alla morte di Giovanna Reggiani ha riacceso il dibattito sui temi dell’immigrazione nel nostro paese. Si tratta però di un dibattito viziato, almeno dal lato politico, da una buona dose di ipocrisia e di strumentalizzazione da parte di alcune forze politiche che, pensando di cavalcare a loro favore i sentimenti della popolazione, realizzano operazioni di vero e proprio sciacallaggio contribuendo ad intorbidire un clima che diventa sempre più irrespirabile e alimentando la tensione sociale. E’ davvero incredibile come persone che hanno ricoperto per anni ruoli istituzionali e di governo non percepiscono la pericolosità dei loro interventi “mediatici” e al solo scopo di mettere in cattiva luce l’attuale governo “sparino” frasi davvero inquietanti.
Quello dell’immigrazione è un problema che le società moderne dovrebbero affrontare con un approccio lontano da condizionamenti ideologici e con un respiro di livello internazionale. Nessun paese può credere di risolversi il problema da solo, ma bisogna convincersi che le regole vanno trovate e condivise a livello dell’Unione Europea, favorendo un sistema di accordi internazionali con i paesi maggiormente interessati dai fenomeni di emigrazione. Ne tanto meno si può pensare di chiudersi dentro i propri confini e credere di poter respingere chi vuole entrare. Le nostre società saranno sempre più multietniche e questo, oltre ad essere un fatto ineluttabile, deve essere considerato come un’opportunità di crescita per tutti. Per questo credo che la Legge "Bossi-Fini", contro la quale l’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace ha promosso a suo tempo una campagna di raccolta firme intitolata “Nessun uomo è clandestino", è miseramente fallita, perché ha chiuso le porte degli ingressi regolari e ha stimolato quelli irregolari.
D’altro canto, non si può neanche pensare di trovare soluzioni sull’onda dell’emotività, come si è fatto con i provvedimenti d’urgenza emanati in questi giorni, quando nel quotidiano si fa pochissimo perché le situazioni non degradino. Questi provvedimenti si trasformano in manifesti che dopo qualche giorno non saranno più applicati, ma che nell’immediato producono conseguenze nefaste sempre sulle persone più deboli.
E’ il problema del nostro Paese quello di agire sull’onda dell’emergenza. Abbiamo perso lo sguardo verso il futuro. Il nostro naso è sempre più l’indice del nostro agire.
Ma potremmo ancora cambiare la rotta, se solo riuscissimo a capire che ciò che facciamo e proponiamo non deve essere strumentale agli interessi di parte, ma tutto deve essere orientato, pur nel normale confronto politico e sociale, a garantire condizioni di accoglienza e di convivenza degne di un Paese civile.
(Domenica, 4 novembre 2007)