Nei giorni scorsi sul “Sole 24 ore” è comparso un articolo nel quale si evidenziava come ormai in Italia gli appartenenti alla “casta” dei politici siano individuati dalla generalità dell’opinione pubblica come persone poco trasparenti e come la politica dei partiti sia considerata come qualcosa di poco pulito, addirittura in grado di compromettere la buona reputazione di coloro che vi si dedicano. La conclusione di questo ragionamento era che molte persone professionalmente preparate e anche di buona volontà rinunciano a scendere in politica perché temono di subire un vulnus al loro buon nome e alla loro credibilità. Si evidenziava anche che, al contrario, in altri paesi occidentali non si ha un’immagine così sporca della politica perché di fronte a episodi di corruzione o, comunque, davanti a comportamenti eticamente non accettabili, il politico viene isolato dal suo stesso partito e costretto quasi sempre alle dimissioni.
Quello rappresentato sul principale giornale economico nazionale è il problema principe della politica partitica italiana: la mancanza ormai pressochè assoluta di credibilità, la sua opacità. Ciò consente, però, a persone che al di fuori dei meandri della politica, come si dice, non avrebbero né arte né parte, a percorrere i percorsi nebbiosi del sistema italiano, a ricoprire magari anche cariche istituzionali, giocando come avventurieri sul tavolo da poker, producendo però danni irreparabili alla collettività dei cittadini e imprimendo il marchio dell’inaffidabilità a tutto ciò che toccano e che fanno.
Di fronte a tutto ciò il cittadino onesto, molto spesso, tende a chiamarsi fuori e a rifugiarsi nel suo privato, ma quando riscopre le ragioni dell’impegno sociale e politico e denuncia ciò che non va, ecco il grido di dolore del politico di “professione” che stracciandosi le vesti lamenta l’attacco dell’anti politica, l’aggressione al suo “prezioso lavoro”, non rendendosi conto che il vero anti politico è proprio lui. E’ lui che mina e compromette le ragioni della convivenza civile e sociale, che rompe il patto di reciproca fiducia che dovrebbe regnare tra cittadini ed amministratori, è lui che pur di mantenere il potere calpesta diritti e democrazia, è lui che inquina le fonti di quella che Paolo VI definì la forma più alta di carità: la politica.
Se i partiti vogliono realmente e non solo nominalmente rigenerarsi lo devono fare attraverso le persone, riorientando la loro attività verso l’esclusivo perseguimento del bene comune, anche mediante l’emanazione e l’applicazione di rigidi codici etici che ridiano alla politica e agli stessi partiti quella dignità che la Costituzione riconosce e che i cittadini reclamano.
(Sabato 27 ottobre 2007)