Lo scorso 22 giugno Papà Francesco ha fatto visita al Tempio Valdese di Torino. Nel corso del suo intervento, ha chiesto perdono alla Comunità Valdese per le persecuzioni della Chiesa Cattolica, precisando che si è trattato di comportamenti non cristiani e non umani. Qualche mese prima, era stato ospite della Chiesa Pentecostale di Caserta, chiedendo anche lì perdono per le persecuzioni provocate dalle delazioni di alcuni cattolici dopo la promulgazione delle leggi razziali del regime fascista. In tutte e due le occasioni Papa Francesco ha voluto, comunque, offrire dei segni di comunione e di fratellanza, ha dato concretezza al potere dei segni, piuttosto che ai segni del potere. Purtroppo, però alcuni dei suoi vescovi non se ne sono accorti, oppure in quei giorni non hanno guardato la televisione e nemmeno letto i giornali. Ne ho avuto conferma stamattina durante la messa delle 10:30 nella mia parrocchia, presieduta eccezionalmente da un vescovo "noto" anche per le prediche canore che spopolano su YouTube. Ha esordito nella sua omelia rimarcando che ci trovavamo in una chiesa cattolica, che siamo cattolici, e che nella nostra città c'è (sigh) una chiesa evangelica. Ha proseguito facendo percepire ai, peraltro, pochi presenti che solo noi cattolici siamo in possesso della verità, insomma noi cattolici da una parte, i protestanti dall'altra, rispettivamente serie A e serie B (ad essere buoni) del cristianesimo. Ha poi però denunciato che, da alcune ricerche, emerge che la maggior parte dei cattolici che frequentano la messa domenicale non conoscono le scritture, quindi la Parola e ciò che da senso compiuto alla loro fede. Ma come? Avrei voluto interloquire: questa è una precisa responsabilità della chiesa cattolica, che sino al Concilio Vaticano II in pratica ha proibito la lettura delle Sacre Scritture, mentre le chiese protestanti hanno fatto della conoscenza "universale" della Parola il vero punto di forza della fede. Sono rimasto davvero sconcertato da un atteggiamento oltremodo paternalistico, quando si è messo persino a discettare di dieta e di succhi gastrici rimanendo del tutto sconnesso con il Vangelo di questa domenica.
Alla conclusione della celebrazione, salutando i fedeli, ha chiesto “scusa” per la lunghezza dell'omelia, dicendo però che i fedeli di ogni parrocchia dovrebbero chiedere al loro parroco di fare omelie più lunghe. A parte che dipende molto da cosa ha da dire il parroco (alcuni potrebbero davvero astenersi dal pronunciare l'omelia per i danni che provocano), ma leggete cosa dice Papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica "Evangelii Gaudium": "L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione. È un genere peculiare, dal momento che si tratta di una predicazione dentro la cornice di una celebrazione liturgica; di conseguenza deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione. Il predicatore può essere capace di tenere vivo l’interesse della gente per un’ora, ma così la sua parola diventa più importante della celebrazione della fede. Se l’omelia si prolunga troppo, danneggia due caratteristiche della celebrazione liturgica: l’armonia tra le sue parti e il suo ritmo." Appunto!!! Forse, proprio per questo, Papa Francesco, sempre e dovunque, chiede di pregare per Lui, perché ne ha tanto bisogno. Non so cosa ne pensi il vescovo di questa mattina, ma nel clero e tra molti "devoti" gira una frase sempre più forte e ricorrente a riguardo di Papa Francesco che, come dicono a Napoli, esprime un significato preciso: ”Ha da passà 'a nuttata"
(Domenica, 12 luglio 2015)