Sabato 24 febbraio 2007
L’altra sera ho visto il film “The constant gardener – la cospirazione” del brasiliano Fernando Meirelles. Tratto dal romanzo di Le Carrè “Il Diplomatico” e ambientato in Kenia, racconta la storia di un funzionario del Ministero degli Esteri di Sua Maestà Britannica che indagando, al fine di scoprire gli autori e le ragioni della morte della giovane moglie, si imbatte in un’oscura trama di traffici intorno ad un grosso affare di un' industria farmaceutica. In pratica, un’importante multinazionale aveva corrotto politici, funzionari e medici, sia kenioti che britannici, al fine di poter realizzare un programma di sperimentazione di un nuovo farmaco contro la tubercolosi sull’ignara popolazione locale che era, comunque, costretta ad accettare il trattamento pena l’esclusione da qualsiasi assistenza sanitaria. Anche il diplomatico pagherà alla fine con la vita per essersi “impicciato”.
Il film, molto bello, mi ha fatto riflettere su quelle che potremo definire “vite a perdere”. Sono le vite della gente del sud del mondo, il cui valore sul piano sociale, economico, massmediatico, su quello dell’indignazione contro le ingiustizie è di molto inferiore rispetto a quelle delle persone del mondo “evoluto” che consuma, spreca, gode anche sulle loro sofferenze.
Sono vite di riserva che non contano niente, sulle quali possono essere perpetrate le più grande nefandezze. Tanto, chi si preoccupa di loro? Chi si indigna per loro? La vita di un occidentale ben pasciuto non conta di più delle migliaia di bambini che ogni giorno in Africa muoiono di fame?
Se muore qualcuno di noi (occidentale), in uno di quei paesi, tutti i tg, i siti internet, le radio, dedicano servizi su servizi, con inchieste, dibattiti sulla sua storia, su chi era, sulla sua personalità, addirittura sugli hobbies che aveva. Ma difficilmente si parla, se non quando siamo presi da attacchi di buonismo, o sotto Natale, dello scandalo di quei bambini che muoiono per denutrizione o delle malattie più varie, da noi magari debellate, solo perché le grandi multinazionali farmaceutiche si oppongono alla liberalizzazione dei brevetti.
E’ come se quei bimbi non avessero un volto e un’anima.
Ma quei bimbi ci interpellano e interpellano anche la nostra politica, perché la loro condanna un giorno potrebbe diventare la nostra condanna.