“Uomini di Dio” (In originale “Des hommes et des dieux, degli uomini e degli dei") del regista francese Xavier Beauvois è un film assolutamente da vedere. Racconta la storia del sacrificio di sette monaci trappisti che nel 1996, in Algeria, nel pieno dello scontro tra fondamentalisti e regime militare, sono rapiti, e poi decapitati. E’ la storia di una fedeltà alla propria vocazione, all’uomo e alla propria comunità. La loro fedeltà non è scontata, non è a cuor leggero, ma è un percorso che procede dalla riscoperta delle proprie scelte individuali alla consapevolezza che essere coerente con quelle scelte impone, se necessario, anche l’estremo sacrificio. Più volte, di fronte al pericolo e al timore per la propria sorte personale, i monaci sono tentati ad andare via, a salvarsi, ma nell’ultima votazione scelgono di rimanere, ben sapendo quale sarà la loro sorte.

E’ una pellicola che mette a nudo il nostro cristianesimo talvolta così tiepido, lontano e pauroso di fronte alle scelte radicali. E, il passo del Vangelo di questa domenica (Mt 16, 21-27) testimonia come, con il loro sacrificio, quegli uomini di Dio hanno ritrovato la loro vita.

 

Ecco il testamento spirituale di padre Christian de Chergé, priore dell’abbazia di Tibhirine, ucciso, non si è mai saputo se dai fondamentalisti islamici o dall’esercito, con altri sei monaci trappisti in Algeria nel maggio 1996.

 

TESTAMENTO DI PADRE CHRISTIAN DE CHERGE’
Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale.
Che pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta?
Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla a un Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell’Islam incoraggia un certo islamismo. E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un anima.
L’ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”.
Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo “grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.

(Domenica, 28 agosto 2011)

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