Con il furto di ieri dell'insegna del campo di concentramento di Auschwitz, patrimonio dell'umanità e bene protetto dall'Unesco, è stato profanato un tempio, un tempio del dolore e della sofferenza dove si è concentrato tutto il male che un uomo può fare ad un suo simile. Un luogo sacro che non avrebbe dovuto essere violato, perchè la memoria delle atrocità che sono state commesse deve continuare ad essere un monito, sopratutto per i giovani, affinchè nessun potere, nessun governo, nessun essere umano possa sprofondare di nuovo in quell'abisso di abiezione e di crudeltà. Ma forse proprio la rimozione della memoria è l'intento che ha animato i criminali che hanno rubato la scritta "Arbeit macht frei" (Il lavoro rende liberi). Il valore simbolico di quel motto, posto all'ingresso di un campo dove chi entrava non aveva in pratica alcuna possibilità di uscirne vivo, e del terribile imbroglio che rappresentava è altissimo e averlo portato via significa tentare di oscurare il riferimento ad un male assoluto che poco più di sessanta anni fa è stato prima teorizzato e poi scientificamente realizzato nel cuore della nostra Europa. Qual'era il lavoro che rendeva liberi, quello magari dei deportati che alla fine della giornata erano costretti a trascinare i compagni che non ce l'avevano fatta, stremati dalla fatica e dagli stenti, o quello degli aguzzini delle camere a gas o dei forni crematori?
Ci sono ormai tantissimi inquietanti segnali, nel nostro paese e in tutta Europa, di un risveglio di gruppi che proprio in quel male trovano il loro punto di riferimento. Fa veramente rabbrividire sapere che ancora, dopo tutto quello che ci è stato raccontato, ci siano ancora persone che si richiamano a quella ideologia che intorno allo sciagurato principio di purezza della razza e al progetto di soppressione, prima morale e poi fisica, del "diverso" ha costruito il suo potere mortifero. Questi segnali non possono e non debbono essere sottovalutati, non bisogna credere di essere di fronte solo a sparute minoranze che, magari ai margini della società e della storia, si nutrono di slogan per uscire fuori da una quotidianità anonima. Anche allora erano in pochi ma poi...hanno trascinato verso la morte e la distruzione milioni di uomini.
(Sabato, 19 dicembre 2009)