Fin dalla più tenera età, a partire da quando abbiamo iniziato a pronunciare le prime parole, quasi immediatamente dopo mamma e papà, ci hanno insegnato a dire le “preghierine”, ovvero delle invocazioni per “carpire” la benevolenza di Dio, della Madonna, dei Santi. Frequentando poi il catechismo della chiesa cattolica romana questo “imparare” è andato avanti quasi fino ai limiti estremi tanto da provocare la “paralisi religiosa” di tante persone poste di fronte all’esigenza di pregare per scampare dalle pene dell’inferno e a provocarne un cortocircuito anche psicologico. E’ stato un insegnamento buono, un insegnamento utile alla maturazione della fede? Sgombrando il campo da qualsiasi fraintendimento, penso che i genitori cristiani, nel campo della fede come in qualsiasi altro ambito, non debbono rimanere neutrali di fronte all’aiuto che possono dare alle scelte dei propri figli. Avviarli alla fede nella consapevolezza che poi, raggiunta una certa età, possano decidere nella più assoluta libertà di cambiare anche radicalmente idea, è una responsabilità che il credente può e deve assumersi. Però quella religione “inculturata” ad ogni costo ha provocato talvolta danni notevoli rispetto alla stessa “economia” della fede e crisi di rigetto in molte persone. Siamo arrivati al paradosso di farci equivocare le Parole di Gesù in Matteo 21,22 “tutte le cose che domanderete in preghiera, se avete fede, le otterrete”, per giungere pure a usare il Signore come un potente talismano per richiedere addirittura il male del nostro prossimo nel suo nome. Aiutare a comprendere il senso e il valore della preghiera è un compito difficile, proprio per questo va assunto con “tremore” ponendosi in ascolto del Signore, perché la preghiera è anzitutto ascolto. Un ascolto meditativo, ma non passivo, un ascolto attraverso il quale ci si mette in umiltà davanti al Signore consapevoli delle proprie ferite e dei propri limiti, nella certezza che Dio non è lì con il dito puntato contro di noi, se non eseguiamo il “compitino”, ma è sempre pronto ad accoglierci nella Sua immensa misericordia che viene prima del giudizio. Già il fatto di porci nell’atteggiamento della preghiera accogliente e disponibile all’intervento nella nostra vita del Signore è proprio il segno che Dio stesso ci anticipa con la Sua grazia. La preghiera non è il ripetersi di formulari “magici” che ci dovrebbero aiutare a sconfiggere la mala sorte, ma è attesa paziente, uno spogliarci davanti al Signore sicuri che Lui non rimane indifferente di fronte al nostro atteggiamento. La preghiera è proprio un atteggiamento che possiamo assumere nelle nostre vite, un cuore sempre rivolto al Signore con fiducia. La preghiera è una questione di amore, non di paura, come ci insegna lo “Shemà Israel” di Deuteronomio 6,4-5 “Ascolta, Israele: Il SIGNORE, il nostro Dio, è l'unico SIGNORE. Tu amerai dunque il SIGNORE, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze”, ripreso poi da Gesù in Marco 12,29-30. Amore che si incrocia con il riconoscimento della nostra precaria condizione umana nella preghiera del pellegrino russo “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me”. Amore e umiltà possono rendere la nostra preghiera e la nostra vita piene, possono davvero cambiare il mondo.
Buon Natale a tutte e a tutti.
(Domenica, 22 dicembre 2019)