(Riceviamo dalla professoressa Teresa Melissari e pubblichiamo)
Gli Stranieri
Il termine “straniero” può descrivere tante e diverse situazioni, per cui quando lo si usa è bene farlo con chiarezza, per evitare fraintendimenti.
Uno straniero è una persona che risiede sul territorio di uno Stato senza averne la nazionalità.
Un immigrato è una persona che si è trasferita stabilmente in un Paese diverso da quello d’origine o anche in un’altra zona del proprio Paese.
Un rifugiato è una persona che ha ottenuto lo “status di rifugiato”, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28/07/1951 entrata in vigore il 22/04/1954 a livello internazionale, che protegge le vittime delle persecuzioni a causa della loro origine, della loro religione, della loro nazionalità, della loro appartenenza a un gruppo sociale o delle loro opinioni politiche, nonché gli apolidi, persone senza cittadinanza di uno Stato o appartenenza ad un popolo.
Un richiedente asilo è una persona in cerca di uno status di rifugiato perché ha subìto persecuzione o teme di subirle, a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un gruppo sociale o della sua opinione politica.
Un extracomunitario è uno straniero che non è cittadino di uno dei paesi dell’Unione Europea.
Un irregolare è uno straniero che vive sul territorio di uno stato diverso dal suo, senza il diritto di restare lì, perché non ha chiesto il permesso di soggiorno, perché non l’ha rinnovato o perché l’amministrazione ne ha respinto la richiesta.
Un profugo è una persona che lascia il suo Paese a causa di guerre, carestie o catastrofi naturali.
Si stima che in Italia il numero degli immigrati irregolari si aggiri tra 150.000 e 200.000 persone, ma è difficile stabilire una cifra esatta perché bisogna tener conto che molti di questi proseguono verso il nord Europa dove hanno parenti o amici.
Al di fuori dei cittadini europei, cioè membri dell’Unione Europea, che possono facilmente venire in Italia, stabilirvisi e lavorare, gli stranieri che vengono a vivere da noi lo fanno per vari motivi:
- per lavorare; ed è il caso dell’emigrazione economica;
- per vivere con la propria famiglia; si tratta di persone che vengono per ricongiungersi ai loro familiari; unirsi cioè al coniuge, al padre straniero che vive e lavora legalmente in Italia, etc. Tanti sono stati negli anni i ricongiungimenti familiari.
- per chiedere asilo;
- per studiare; in questo caso il loro permesso di soggiorno è temporaneo, ma rinnovabile ogni anno fino al completamento del corso di studi. La maggior parte dopo gli studi ritorna al proprio Paese.
I Migranti
Nel nostro Paese da molto tempo si sente parlare d’invasione da parte dei migranti e c’è la sensazione che sia diventato un Paese d’immigrazione di massa. Questo perché i mezzi di comunicazione ci fanno vedere quotidianamente gli sbarchi a Lampedusa o in altri posti della Sicilia e della Calabria, senza però dare le notizie che molti di coloro che sbarcano, sono diretti verso altri Paesi europei, in modo particolare del Nord Europa.
Come la geografia ci mostra, l’Italia è un naturale crocevia del Mediterraneo e riceve flussi di migranti che fuggono dai loro Paesi d’origine per motivi legati alle guerre, alle carestie alle persecuzioni e al non rispetto dei diritti umani.
Quanti sono i migranti in Italia?
Ecco alcuni dati che si riferiscono al 2014.
Gli immigrati in Italia sono: 4.922.085, l’8,1% della popolazione, di questi 1.441.706 sono europei, 3.470.379 extraeuropei. Le donne costituiscono il 52% degli immigrati.
I Paesi da cui provengono sono: Romania Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Moldova, India, Perù, Polonia. Poi abbiamo i Paesi dell’Africa sub-Sahariana, Ghana, Senegal, Burkina Faso, Nigeria, Ciad.
Nelle nostre regioni quanti migranti ci sono?
Ecco le percentuali di alcune regioni riferite sempre al 2014.
Emilia Romagna 12%
Lombardia 11,5%
Umbria 11%
Lazio 10,8%
Toscana 10,5%
Veneto 10,4%
In alcuni casi l’incidenza della popolazione straniera aumenta, non perché aumenti il numero degli immigrati, ma perché aumentano le nascite di bambini stranieri, mentre la popolazione italiana resta invariata o addirittura diminuisce.
E’ il caso del Veneto, che nel 2014 ha perso 3.500 stranieri ma ha visto crescere l’incidenza della loro presenza.
L’Italia, pertanto, come si può notare è molto lontana dallo scenario d’invasione.
Qual è la situazione in Europa?
In Europa la situazione, sempre riferita al 2014, è la seguente.
Gli immigrati in Europa sono 33.911.507.
Ecco gli immigrati in alcuni Paesi europei.
Austria 1.056.782
Belgio 1.264.427
Francia 4.089.051
Germania 7.011.811
Gran Bretagna 5.047.653
Italia 4.922.721
Spagna 4.677.059
La Legislazione
Pur essendo per secoli un popolo di emigranti, gli italiani non hanno molta dimestichezza con i migranti, a differenza di altri stati europei dove nei decenni passati c'è stata una maggiore propensione, anche legislativa, all'accoglienza.
La prima legge specifica per gli immigrati è la n. 943 del 30/12/1986 che definisce norme per i lavoratori e le loro famiglie. Poi seguono:
- la legge Martelli, n.39 del 28/02/1990, che accetta la presenza stabile di stranieri che vivono e lavorano in Italia;
- la sanatoria Dini del 1995 per i lavoratori;
- la n. 40 del 06/03/1998, legge Turco-Napolitano, in cui compaiono i termini di integrazione, diritti e doveri degli stranieri, carta di soggiorno e con la quale vengono garantiti il ricongiungimento familiare e l’assistenza sanitaria;
- la n. 189 del 30/07/2002, legge Bossi-Fini, che determina i motivi di espulsione, istituisce i CIE e stabilisce i criteri della sanatoria;
- la n.94 del 15/07/2009, denominata pacchetto sicurezza, che introduce il reato di clandestinità e aumenta il periodo di permanenza nei CIE;
Il 9 ottobre 2016 una legge delega approvata dal parlamento dava al governo 18 mesi di tempo per emanare un decreto legislativo per depenalizzare l’ingresso e il soggiorno irregolare. Finora resta il vuoto legislativo.
La Migrazione
La migrazione che è in atto in questo periodo storico e che ha assunto proporzioni enormi per lo spostamento in massa di tante persone non si può fermare facilmente, perché nasce da una complessità di problemi che queste persone vivono e che li spinge a cercare migliori condizioni di vita fuori dalla loro terra.
Questa migrazione è fatta di drammi personali e di popolo, di sofferenze, di persecuzioni, di discriminazioni e di tutto ciò che viola la libertà e i diritti umani.
Molto spesso non è una scelta voluta e si affrontano tante difficoltà per migliorare le proprie condizioni di vita e quelle dei propri figli.
La migrazione, da molti considerata un problema, ha cambiato le abitudini di vita e la percezione del mondo di molte generazioni di uomini e donne, mettendoli in relazione con altre culture e modi di affrontare la vita.
Migrazione ed economia
La migrazione è una risorsa e una possibilità di crescita per l’economia del Paese in cui i migranti dimorano, in questo caso parliamo dell’Italia.
I migranti che entrano in Italia sono principalmente in età attiva, essi contribuiscono di più allo sviluppo economico e dei consumi. Infine sono essenziali per occupare posti che l’italiano etnico, nonostante la disoccupazione, abbandona, come lavorare nelle opere pubbliche, nelle autostrade, nella ristorazione, nell’agricoltura, nei servizi alle persone, specialmente anziani, che vivono soli.
La migrazione è una possibilità per ampliare lo sviluppo di una nazione, ma è anche una risorsa significativa per il Paese di origine dei migranti con le loro rimesse.
I migranti inviano a casa quattro volte più soldi di quello che viene chiamato, “aiuto pubblico allo sviluppo” e questi soldi sono vitali per i loro Paesi d’origine. Spesso rappresentano una frazione decisiva del PIL, inoltre, molteplici micro-progetti, villaggi e intere regioni del Mali, del Ghana, della Costa d’ Avorio crollerebbero senza queste rimesse.
Il tutto senza intermediari o perdite.
Migrazione e cultura
La migrazione è una possibilità di arricchire ogni cultura; nel” vivere insieme”. Una società vive di scambi linguistici, di usi, di costumi e di relazioni, per cui ognuno prende qualcosa dall’altro, si rinnova e si arricchisce, senza perdere la propria identità culturale.
L’identità culturale è un diritto della persona umana, perché la persona rimane sé stessa, equilibrata se resta legata alle sue radici culturali.
Tutte le culture hanno dei valori che possono aiutare le comunità a crescere, valori che aiutano a vivere con gli altri e per gli altri. Per cui prevenire qualsiasi rinnovo o rifiutare qualsiasi sviluppo è una minaccia di rigidità e di isolamento che può distruggere il “vivere insieme”. Non è questione di negare le differenze o le diverse specificità, spesso difficili da combinare, ma il condividerle con gli altri.
Il contributo che ognuno dà, serve a costruire una identità collettiva. Qualcuno afferma che nel mondo c’è bisogno di stabilità ma anche di un certo rinnovamento per non cadere nell’isolamento e nell’isolazionismo.
Migrazione , fonte di dinamismo per la fede cristiana.
Tutta la storia del popolo d’Israele è segnata dall’emigrazione: per questi uomini dell’Antico Testamento, l’evento fondante è la loro condizione di emigrante in Egitto; all’arrivo e installazione in Canaan, un paese che non era disabitato, essi si sentono come emigranti nella “terra promessa”.
La caduta della Samaria e di Gerusalemme li induce a lasciare la loro terra ed andare in esilio, alcuni rimangono emigranti per sempre nelle terre di accoglienza
L’uomo biblico, eterno viaggiatore verso la terra promessa, sempre sulla strada; anche i Vangeli testimoniano che Gesù, la cui missione era itinerante, fa parte di questa storia del migrante, “ le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi; il figlio dell’uomo, non ha dove posare il capo.” (Lc 9,58)
L’indebolimento dei diritti dei migranti ha fatto muovere diverse associazioni e movimenti cristiani che hanno fatto si che questi diritti fossero un argomento di attualità e di discussione.
La Chiesa, che mette al centro del suo operare la persona umana, è in prima linea nell’assistenza e la cura dei migranti e considera la migrazione un problema da affrontare tutti insieme, perché i problemi dell’emigrazione sono problemi dell’uomo. La Chiesa indica nel dialogo il mezzo per costruire una società più giusta e più equa.
Testimonianza di un missionario
“Aprendo la porta ai migranti, che cercano il volto Dio e pensano di trovarlo in noi, mi sentivo davvero missionario, predicatore della buona novella. Ma la cosa più gratificante è che i migranti hanno evangelizzato anche me, mi hanno aiutato a cambiare la parola in azione".
Ho scoperto i valori che molti hanno dimenticato: il coraggio, la tenacia, la speranza e soprattutto la fiducia nella provvidenza di Dio. Viviamo nella globalizzazione essa è buona quando fa vedere il suo volto umano ed è guidata dalla solidarietà. Gli immigrati ci ricordano la globalizzazione della solidarietà! (P. Anselm Mahwera, sacerdote missionario in Africa fondatore della “Casa del Migrante” che ospita quotidianamente gli espulsi da tutti i Paesi e di tutte le religioni).
“Non c’è ebreo né greco, non c’è più schiavo nè uomo libero; non c’è più maschio né femmina; perché tutti voi siete uno in Cristo.” Dice San Paolo nella lettera ai Galati.
La Migrazione nella globalizzazione
In un periodo di globalizzazione il migrante proveniente da altri Paesi, in cerca di una comune terra promessa ci fa ragionare oltre i confini nazionali.
Più volte nella storia, in tempi di crisi, i migranti sono diventati capri espiatori e sono designati come gli autori dei mali della società, anche da parte di governi che non sono in grado di fornire risposte alle difficoltà economiche e sociali della popolazione locale.
Oggi in un contesto di profonda crisi finanziaria, le società economiche e sociali non sono in grado di far fronte a questo esodo. L’Europa si è ripiegata su sé stessa e chiude le sue frontiere. E poi vengono fatti tanti discorsi basati sulla paura dell’altro che portano a legittimare una politica sulla sicurezza nei Paesi europei che relega sullo sfondo i diritti fondamentali degli stranieri e molto spesso gli stessi vengono violati.
Se ci fermiamo a riflettere sul nostro modo di vivere, noi viviamo nella globalizzazione giornalmente. Un esempio?
Contemporaneamente possiamo avere un’automobile giapponese, bere caffè brasiliano, indossare abiti realizzati in Cina… poi ci rifiutiamo di avere come vicini di casa degli immigrati!
Mi domando com’è possibile usare linguaggi diversi per gli stranieri: se emigra una persona del Nord del mondo è espatriata o volontaria, se emigra una persona del Sud del mondo è migrante, illegale o clandestina?
Tuttavia le nostre società sono parte di un mondo sempre più globale. Le nuove strutture di trasporto hanno di fatto aumentato i fattori di mobilità e il fenomeno della globalizzazione non solo un processo economico, ma riflette in modo molto evidente “l’umanità sempre più interconnessa che trascende i confini geografici e culturali.” (Messaggio per la Giornata del migrante e del rifugiato 2011).
Per cui le migrazioni internazionali, gli scambi culturali e lavorativi sono di fatto essenziali per la nostra società, pertanto, pensare di costruire muri, stabilire delle regole contro i migranti o peggio, chiudere le frontiere, è illusorio e irresponsabile.
Si rende, pertanto, necessario un approccio globale per governare al meglio le migrazioni.
Gli Stati nazionali dovrebbero cercare, nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone, degli strumenti giuridici internazionali che permetterebbero discussioni multilaterali.
Uno di questi è la Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei lavoratori migranti e le loro famiglie.
Questa Convenzione è un elemento importante ed essenziale per iniziare una discussione giusta, responsabile e umana. Giusta perché coinvolge i Paesi di partenza, di transito e di arrivo;
responsabile perché ricorda ad ognuno le proprie funzioni e umana perché rispetta la dignità e l’integrità della persona del migrante e gli riconosce il diritto alla vita familiare.
I pregiudizi sui migranti
Molti sono i pregiudizi sui migranti e niente è più preoccupante del divario tra la somma degli studi fatti, che dimostrano quanto l’immigrazione sia una risorsa per il futuro di una nazione, e la persistenza delle idee basate su un’equazione semplice: “immigrati = problema”.
“I migranti sono molti”
Per quasi 40 anni non c’è stato alcun aumento della percentuale di migranti nel mondo, solo il 2% della popolazione mondiale vive fuori dal suo Paese di nascita
Si dice che la migrazione verso i Paesi europei sia aumentata, se fosse vero i migranti restano comunque in minoranza (33% delle migrazioni internazionali) e solamente l’1% degli africani vive in Europa.
“I migranti sono poveri.”
I migranti sono poveri e analfabeti, per cui non possono aiutare il nostro Paese a crescere. In realtà studi accademici hanno dimostrato che i migranti contribuiscono di più per la crescita economica del Paese, di quanto ricevono.
Il contributo degli immigrati che lavorano è positivo anche se questi occupano un posto di lavoro poco qualificato, sottopagato e a volte non conforme agli studi fatti. Ma sono più giovani e contribuiscono maggiormente ai bilanci pensionistici e sanitari, mentre beneficiano meno.
Bisogna tener conto che la nostra società sta invecchiando e gli italiani hanno pochi figli, per cui abbiamo bisogno di giovani che lavorano. E poi la crisi economica che tutti stiamo vivendo in questo periodo ha colpito anche loro. Il loro tasso di disoccupazione è superiore al nostro e la forbice rispetto a noi, in questa crisi, si sta allargando. Parecchi sono rientrati nei loro Paesi d’origine.
“I migranti non sanno e non si vogliono integrare”
Negli ultimi anni si è affermata molto l’idea che i migranti non possono integrarsi nella nostra società. Ma numerosi rapporti sull’integrazione dimostrano che per la stragrande maggioranza dei migranti, l’integrazione avviene, ma dopo un processo complesso che ha bisogno di molto tempo.
E’ necessario che la comunità dei residenti apra un dialogo con loro per conoscere la loro storia e le motivazioni che li hanno portati ad emigrare. Il dialogo costante e la conoscenza sono il primo passo verso l’integrazione. Per cui, il migrante non può essere l’unico responsabile per la presunta difficoltà ad integrarsi.
Il più delle volte la mancata integrazione è frutto di esclusione sociale e insicurezza economica.
“Migranti trasgressori”
Anno dopo anno, si dice, vediamo l’aumento della criminalità che coinvolge stranieri. Sono ladri, delinquenti, danneggiano le città, ecc. In realtà i detenuti nelle carceri italiane al 31 gennaio 2016 erano 52.475 di cui 17.526 stranieri.
Per gli stranieri l’esclusione sociale svolge un ruolo importante per quanto riguarda il borseggio, le rapine, i furti nelle abitazioni ecc..
E’ evidente che un povero e disagiato, anche non straniero, quando non è messo in condizioni di mantenersi da solo, può sviluppare una maggiore attitudine all’illecito.
“Migrante musulmano = problema”
Regolarmente nel corso della storia dell’uomo la religione è stata identificata come un ostacolo all’integrazione. Per molti ricercatori la demonizzazione dell’Islam è parte di questa lunga storia del rifiuto dell’altro, senza nascondere che fra le tante correnti dell’Islam ci sono delle frange estremiste che creano ostacoli nell’integrazione.
Nello stesso tempo, bisognerebbe conoscere l’Islam con cui dobbiamo dialogare, collaborare e preparare progetti che riguardano l’uomo, lottando insieme per la libertà, la giustizia e la pace.
In realtà qualunque sia la loro provenienza e la loro religione, i migranti seguono lo stesso percorso d’integrazione, che richiede un dialogo costante con i residenti e i loro conterranei.
L’incontro con il migrante
Ogni persona che incontriamo lungo la strada della vita diventa una sorta di specchio che riflette l’immagine di noi stessi: uno specchio che rivela tratti, punti di forza e anche limiti.
L’incontro con l’altro evoca la vita di entrambi, la rende visibile e viva ma oltre ad evocare ci provoca, ci fa andare oltre noi stessi, ci invita a viaggiare nel mondo dell’altro.
Un universo che non conosciamo, che è diverso dal nostro, che ci preoccupa, ma ci fa uscire da noi stessi e ci fa andare verso l’altro.
Molto interessante da questo punto di vista è l’incontro di Gesù con una donna straniera raccontato da Marco al Cap. 7; una donna straniera viene a chiedere a Gesù di curare il suo bambino posseduto da un demone. Gesù non soddisfa la domanda della donna perché pensa che la sua missione sia riservata ai figli d’Israele. Egli risponde in modo duro: “non è bene prendere il pane ai figli e gettarlo ai cagnolini”. Ma la donna insiste dicendo che i “cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Gesù colpito da ciò si rivolge alla donna, che inizialmente l’aveva infastidito e dice: “a causa di queste tue parole il demone ha lasciato tuo figlio”.
Nell’incontro tra Gesù e la donna straniera è la loro differenza che introduce la distanza necessaria per scoprire qualcosa di nuovo e sconosciuto, rivelando che la salvezza porta un carattere universale, e se la differenza all’inizio infastidisce, in seguito può aprirsi a qualcosa di nuovo che ci arricchisce.
Forse per cercare di riflettere un po’, bisognerebbe porsi delle domande e darsi delle risposte.
Ho avuto occasione d’incontro e di scambio con uno sconosciuto, con uno straniero nella mia vita quotidiana, nella mia città, nel mio paese, in parrocchia, nel lavoro o all’uscita di scuola dei ragazzi?
Qual è stata la mia esperienza: fastidio, sorpresa, curiosità, somiglianza o rifiuto?
Tutte queste domande ci aiutano a capire la nostra disponibilità verso l’incontro con l’altro, a condividere con l’altro il nostro mondo, ad avere il “gusto dell’altro”.
Il gusto dell’altro è un pasto condiviso, una volta al mese tra italiani e stranieri che non si conoscono, preparato a turno da stranieri e da italiani secondo le usanze dei loro Paesi.
Intorno al cibo che si condivide non bisogna dire o dimostrare qualcosa, c’è solo il piacere d’incontrare persone diverse che ci fanno gustare sapori nuovi e misti. Intorno ad un tavolo non ci si sente stranieri, non c’è bisogno dei documenti, intorno ai pasti che si sono preparati tutti siamo simili perché ci troviamo uno accanto all’altro.
Nel pasto che si condivide, la differenza scompare, lasciando il posto alla somiglianza, tutte persone che gustano il cibo e soddisfano una necessità del loro essere umano, come il mangiare che permette a tutti di sentirsi riconosciuti dall’altro come suo simile.
Come cristiani siamo chiamati ad accogliere lo straniero non soltanto facendo la carità ma camminando, come il Vangelo ci invita a fare, verso l’altro per andare oltre e insieme.
Il Vangelo ha fatto dell’incontro un luogo di relazione, di conversazione che si stabilisce tra i presenti dove ognuno evoca, provoca e chiama la vita dell’altro.(Domenica, 13 marzo 2016)
Teresa Melissari
(Martedì, 28 giugno 2016)