(Chiesa Evangelica Valdese di Catanzaro, domenica 10 settembre 2023)
Care sorelle e cari fratelli,
Il libro del Deuteronomio (seconda legge, secondo la sua versione greca) è il libro che conclude la Torah (insegnamento), ossia i cinque libri della Bibbia che costituiscono le fondamenta della Bibbia ebraica.
In ebraico il Deuteronomio è chiamato “Debarìm” “parole” dal primo versetto del libro “1 Queste sono le parole che Mosè rivolse a Israele di là dal Giordano, nel deserto, nella pianura di fronte a Suf, tra Paran, Tofel, Laban, Aserot e Di-Zaab. 2 Vi sono undici giornate dall'Oreb, per la via del monte Seir, fino a Cades-Barnea”.
Sono tre lunghi discorsi che Mosè rivolge agli Israeliti nei giorni precedenti la sua morte sul monte Nebo ai confini della Terra d’Israele.
Il testo che abbiamo appena letto è collocato nella prima parte del libro, all’interno del primo discorso di Mosè.
In questi sedici versetti sono riassunti i tratti salienti dell’alleanza che il Signore e il popolo sigillarono ai piedi del monte Oreb, quando Mosè discese per la seconda volta con le Tavole delle 10 parole, dopo la vicenda del vitello d’oro.
E’ un Patto esigente, fonte di vita e di benedizioni, che richiede anzitutto fedeltà al Signore e la ferma volontà di seguire le Sue vie.
Ma se nella fedeltà c’è una risposta di vita, l’infedeltà può generare morte.
Se ci proiettiamo per un momento al capitolo 28 dello stesso libro troviamo, infatti, un condensato di benedizioni e di maledizioni. Mosè ricorda al popolo che ha sottoscritto un Patto con il Signore e che rispettandolo si ricevono miriadi di benedizioni, ma violandolo ci si allontana da Dio, si crea un distacco difficile da colmare, anche se il Signore può agire sempre con la Sua misericordia per riempire di nuovo il vuoto creato dall’uomo.
Da questo Patto nasce tutta la teologia ebraica secondo la quale l’esilio babilonese è il prezzo che il popolo ha pagato per la sua disubbidienza al Signore, per avere violato il Patto che era stato posto a fondamento della nascita del popolo stesso.
Ancora adesso nello shabbat che precede la Tish’a beAv (alla fine del mese di luglio), in memoria della distruzione del primo e secondo Tempio, gli ebrei digiunano e leggono la Parasha (ossia una selezione di passi biblici) di Devarim/Deuteronomio proprio per meditare sulla bellezza di mantenersi fedeli al Signore.
Dio si è scelto il Suo popolo tra tante nazioni, ma non lo ha scelto tra nazioni potenti, tra grandi re e grandi eserciti. No, l’elezione di Israele è nata proprio dal suo essere piccolo, un piccolo popolo destinato a vivere in mezzo a giganti potenti e prepotenti.
La grande nazione a cui si riferiscono i versetti 6 e 7, non va intesa nel senso dell’estensione territoriale o della potenza dello Stato, ma della fedeltà al Signore, della testimonianza che Israele è chiamata a rendere agli altri popoli.
Il privilegio d’Israele è proprio il non essere potente, il ricavare la sua forza esclusivamente dalla bontà di Dio e sulla fedeltà da e verso il Signore.
Solo in epoca più tarda il popolo chiese un re, “come lo hanno tutte le altre nazioni”, e Dio, tramite Samuele, glielo diede avvertendolo però delle conseguenze che stare sotto un re comporta.
7 Allora il SIGNORE disse a Samuele: «Da' ascolto alla voce del popolo in tutto quello che ti dirà, poiché essi non hanno respinto te, ma me, affinché io non regni su di loro. 8 Agiscono con te come hanno sempre agito dal giorno che li feci salire dall'Egitto fino a oggi: mi hanno abbandonato per servire altri dèi. 9 Ora dunque da' ascolto alla loro voce; abbi cura però di avvertirli solennemente e di fare loro ben conoscere quale sarà il modo di agire del re che regnerà su di loro».
10 Samuele riferì tutte le parole del SIGNORE al popolo che gli domandava un re. 11 Disse: «Questo sarà il modo di agire del re che regnerà su di voi. Egli prenderà i vostri figli e li metterà sui carri e fra i suoi cavalieri e dovranno correre davanti al suo carro; 12 ne farà dei capitani di migliaia e dei capitani di cinquantine; li metterà ad arare le sue terre e a mietere i suoi campi, a fabbricare i suoi ordigni di guerra e gli attrezzi dei suoi carri” (1 Samuele 8,7-12).
Quanta realtà lega la Parola del Signore anche ai nostri giorni.
L’elezione di Israele quale popolo di Dio però reca con sé una grande responsabilità. La responsabilità della testimonianza, di essere un popolo santo tra tutte le altre nazioni.
Coloro che sono chiamati da Dio hanno il dovere, oltre alla fedeltà, di essere suoi testimoni, di narrare e rinarrare le Sue meraviglie.
E’ un privilegio che non può e non deve essere eluso.
Abbiamo infatti letto dal versetto 9 del nostro testo “Soltanto, bada bene a te stesso e guàrdati dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli.”
Ora noi, anche oggi in questa chiesa, ci possiamo e dobbiamo chiedere: “ma questo testo ci riguarda”? E se, si, come possiamo farlo nostro in una società in cui la “comunicazione religiosa” è diventata quasi una cosa per specialisti, mentre la maggior parte delle persone, se provi a parlare di Dio, ti guarda se non con diffidenza, almeno con grande scetticismo?
Alla prima domanda possiamo rispondere “certo, che ci riguarda”. Noi proveniamo da quella comune matrice, come dice Paolo nel capitolo 11 della lettera ai Romani, siamo stati tagliati dall’olivo selvatico e innestati, contro natura, nell’olivo domestico (che è Israele).
Questo olivo domestico sono le nostra fondamenta, le radici naturali a cui dobbiamo rimanere attaccati per continuare a restare vivi e attingere nel nostro cammino di fede. Non possiamo farne a meno.
La Torah/Insegnamento fa parte delle nostre Scritture ed è capace tuttora di parlarci, di comunicarci qualcosa di importante per le nostre esistenze.
D’altro canto Gesù in Matteo 5, 17-19 così ci dice “17 Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento. 18 Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto. 19 Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli.”
E, allora, le parole del Deuteronomio, le Debarim ci riguardano, ci interrogano, ci chiamano e ci richiamano all’amore, alla fedeltà verso il Signore, al nostro dovere di essere sempre di più Suoi testimoni.
Ma come facciamo ad essere testimoni in un mondo distratto da tanti idoli?
Qui possiamo richiamare i versetti da 15 a 19 del nostro testo: “15 Siccome non vedeste nessuna figura il giorno che il SIGNORE vi parlò in Oreb dal fuoco, badate bene a voi stessi, 16 affinché non vi corrompiate e non vi facciate qualche scultura, la rappresentazione di qualche idolo, la figura di un uomo o di una donna, 17 la figura di uno degli animali della terra, la figura di un uccello che vola nei cieli, 18 la figura di una bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra; 19 e anche affinché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l'esercito celeste, tu non ti senta attratto a prostrarti davanti a quelle cose e a offrire loro un culto, perché quelle sono le cose che il SIGNORE, il tuo Dio, ha lasciato per tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli.”
Potremmo anche dire, parafrasando l’Ecclesiaste, che “non c’è nulla di nuovo sotto il sole”. Idoli vecchi e nuovi rischiano di confonderci, di farci sbagliare strada.
Ci potremmo anche giustificare facilmente: siamo troppo piccoli, non ne abbiamo le forze, ci sentiamo spesso schiacciati da messaggi che ci sovrastano e ci “consigliano” di vivere la nostra fede solo al riparo delle nostre, ormai vuote, chiese.
Ma vivere la fede al “riparo” non è mai una soluzione.
Come per il piccolo popolo d’Israele, il Signore non ci sceglie perché siamo “grandi”, perché siamo potenti”, perché con le nostre armi possiamo schiacciare gli altri e affermare le nostre idee.
Anzi, se guardiamo alle Scritture, Dio ha chiamato sempre i dimenticati, gli ultimi, gli indifesi. Il cantico di Anna del Primo Libro di Samuele e il Magnificat di Maria, sublimano il ribaltamento dell’ordine con cui Dio agisce:
“51 Egli ha operato potentemente con il suo braccio;
ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore;
52 ha detronizzato i potenti,
e ha innalzato gli umili;
53 ha colmato di beni gli affamati,
e ha rimandato a mani vuote i ricchi” (Luca 1, 51-53).
Anche Gesù, il nostro Salvatore non è nato in una grande città, o al cospetto di un re, ma è venuto alla luce nella piccolezza:
"E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda;
perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele” (Matteo 2,6).
Dio, quindi, sceglie il piccolo.
Ciò che agli occhi del mondo appare irrilevante per il Signore è il più grande.
E, il Signore stesso, lo coltiva con il Suo Spirito, gli infonde coraggio, gli dice “non temere: io sarò sempre con te, non ti abbandonerò”.
In ciò noi dobbiamo trovare la forza della nostra testimonianza, l’audacia di renderGli lode e gloria di fronte al mondo.
Specialmente oggi, specialmente come piccola chiesa, come credenti a volta timidi, spauriti davanti alle grandi questioni che dobbiamo affrontare.
Abbiamo la testimonianza delle nostre sorelle e dei nostri fratelli valdesi che dalla fine del 12° secolo hanno superato terribili persecuzioni per consegnarci una Parola viva e vitale.
Anche durante il Sinodo la parola “piccola, piccolo” è risuonata tante volte, ma non ci deve spaventare perché il Signore sa come aiutarci, curarsi di noi.
Gesù in Matteo 21,12-19 ce lo dice chiaramente: “2 Ma prima di tutte queste cose, vi metteranno le mani addosso e vi perseguiteranno consegnandovi alle sinagoghe, e mettendovi in prigione, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. 13 Ma ciò vi darà occasione di rendere testimonianza. 14 Mettetevi dunque in cuore di non premeditare come rispondere a vostra difesa, 15 perché io vi darò una parola e una sapienza alle quali tutti i vostri avversari non potranno opporsi né contraddire. 16 Voi sarete traditi perfino da genitori, fratelli, parenti e amici; faranno morire parecchi di voi; 17 e sarete odiati da tutti a causa del mio nome; 18 ma neppure un capello del vostro capo perirà. 19 Con la vostra costanza salverete le vostre vite”.
Nell’essere testimoni dunque non dobbiamo preparare parole, perché il Signore ci sosterrà, ci suggerirà Lui, attraverso lo Spirito, cosa dobbiamo dire e l’atteggiamento da tenere.
Però ci servirà costanza, ci vorrà la nostra disponibilità a rimetterci in gioco, giorno dopo giorno nel Suo nome, ad essere disposti a sopportare pure piccole e grandi persecuzioni.
Nuotare, saldi nel Signore, nell’oceano dell’indifferenza.
Non appiattirci nei nostri conformismi, abbandonare le nostre zone di comfort, affrontare la vita in controtendenza, risalire la corrente quando tutto sembra trascinarci giù.
Insomma tutto ciò che il Signore ci chiede è il nostro SI.
Le nostre chiese sono sempre più piccole, proprio per questo è giunto il tempo di mollare gli ormeggi, di navigare in mare aperto, di porgere la Parola nelle strade, nei luoghi rocciosi e tra le spine lasciando poi il Signore a raccogliere, non noi.
E’ davvero bello ciò che è stato scritto sulla targa dedicata ad Altiero Spinelli in occasione della visita del presidente della Repubblica lo scorso 31 agosto a Torre Pellice:
“Passa dai piccoli luoghi la grande storia e la speranza di pace che nutre l’Unione Europea”.
Noi siamo uno di questi piccoli luoghi, ma dobbiamo essere in grado di diventare speranza di pace per tutti popoli della terra in nome del Signore.
Questo è il tempo.
“Questo è il tempo” è stato il tema del 38° Kirchentag, il grande raduno delle chiese protestanti in Germania che si è concluso nello scorso mese di giugno a Norimberga.
Non penso che avrebbero potuto scegliere una tema migliore.
Questo è davvero il tempo, care sorelle e cari fratelli.
Amen