(Chiesa Evangelica Valdese di Catanzaro, domenica 1 ottobre 2023)

Luca 12,13-21

Care sorelle, cari fratelli,

l’inizio del capitolo 12 dell’Evangelo di Luca ci descrive Gesù che parla davanti a migliaia di persone radunate, tanto che non c’era più spazio, tanto che i presenti si calpestavano gli uni gli altri.

La predicazione del Signore sembra avere successo, perché le persone accorrono da tutte le parti e questo attira anche l’attenzione degli scribi e dei farisei che, come ci narra la conclusione del capitolo 11, “cominciarono a contrastarlo e a farlo parlare su molte cose; tenendogli insidie, per cogliere qualche parola che gli uscisse di bocca”.

C’è quindi un’alta considerazione di questo Rabbi galileo che parla con autorevolezza tanto da destare la meraviglia e la fede di coloro che ascoltano. Non sono parole vuote, ma dense della profondità e del cuore di Dio. 

Ecco perché le persone lo ascoltano volentieri, è una fonte che non si estingue, che genera sempre stupore per la verità che rivela.

Come sappiamo, è l’ascolto che genera la fede e nell’ascolto di Gesù la fede del popolo d’Israele è risvegliata, rinasce a nuova vita perché il cuore di Dio tocca direttamente il cuore di chi ascolta e lo pone in una dimensione altra rispetto alla “normalità”, alla quotidianità, al conformismo di un rispetto ossequioso e formale della legge, che però è lontano da ciò che Dio realmente vuole.

Dio ha dato la legge per la nostra libertà e per la vita, non per soffocarci e ucciderci.

E quanto avremmo anche noi bisogno di ascoltarla con più profondità questa Parola di Gesù, di meditarla nella nostra misteriosa interiorità dopo averla ruminata nella nostra bocca.

Gesù parla come ebreo ad altri ebrei, è un figlio del suo popolo.  Le persone percepiscono che le Sue parole meritano di essere prese in considerazione, perché conducono alla salvezza. Non parla da estraneo. 

E’ per questo che le parole di Gesù, accanto alla disponibilità di tante e tanti sorelle e fratelli, incontrano anche il pregiudizio, il disprezzo e la gelosia da parte delle classi dominanti. 

Hanno paura perché capiscono che quella parola non arriva a loro come qualcosa di alieno, ma è parola viva che sgorga direttamente dalle fonti della Torah e della Scrittura.

Lo avevano già preannunciato i profeti che chiedevano ai loro ascoltatori e alle loro ascoltatrici un cuore di carne, non un cuore di pietra, misericordia e non sacrifici.

Gesù si pone dunque su un piano inclinato che lo farà scivolare verso una morte ignominiosa. E’ il destino di chi predica la Verità in un mondo dove prevale il male.

Ma, dopo questa introduzione che ci può aiutare a comprendere il contesto, torniamo al nostro passo di questa domenica.

Il racconto di Luca ci conduce prima di fronte a qualcosa che accade nella realtà, davanti gli occhi e le orecchie di Gesù e poi, nell’immediatezza, al racconto di una parabola con la quale Gesù pone ai suoi interlocutori una domanda fondamentale: Cos’è che ci fa vivere?  

Nel versetto 13 è scritto:

Or uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l’eredità».

Chi è questo della folla che chiede a Gesù di dire al fratello di dividere con lui l’eredità?

Vuole tendere a Gesù un tranello o ha un’esigenza reale, un contenzioso con il fratello per il quale chiede a Gesù di intervenire?

Non lo sappiamo, però sappiamo che Gesù incarna anche la Sapienza di Dio, una Sapienza che lo ispira nella Sua risposta.

Conosciamo anche le storie tossiche, e allo stesso tempo portatrici di salvezza, che la Bibbia ci racconta intorno alle figure di alcuni fratelli: per esempio Caino e Abele, Esaù e Giacobbe.

Gesù risponde al tale: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?»

Non è un modo per defilarsi dalla domanda, ma questa risposta pone le cose nel giusto punto di vista e nel migliore orizzonte.

Gesù non si può porre dalla parte dell’uno o dell’altro dei contendenti, perché Gesù è tutto. Lui assorbe tutta l’umanità.

Gesù non è venuto sulla terra per dirimere controversie tra persone, ma per mostraci la strada verso il Padre, la strada della vita eterna. 

La strada verso il Padre ci conduce sui sentieri della generosità, del prendersi cura degli altri e delle altre, dell’amore per ogni altro essere umano.

E così Gesù prosegue nella Sua risposta, rivolta questa non solo alla persona che gli aveva posto la domanda ma a tutti e tutte coloro che lo stanno ascoltando: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita».

L’avarizia è la ristrettezza del cuore, l’incapacità di guardare oltre se stessi, il rimanere avvinghiati a ciò che si possiede senza il minimo slancio di condivisione, senza la forza di comprendere il bisogno dell’altro e dell’altra.

Dall’altra parte della vita c’è Dio.

Bisogna essere ricchi davanti a Dio: Gesù prova a farcelo capire nella successiva parabola dell’uomo che ha un raccolto abbondante e che pensa bene di godersi egoisticamente i frutti del suo raccolto. 

Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?”.

Quello che abbiamo preparato di chi sarà? 

Ma soprattutto dobbiamo chiederci cosa abbiamo preparato?

Nel nostra vita terrena per cosa ci siamo impegnati, a chi e a che cosa era rivolto il nostro cuore?

Siamo rimasti pietrificati in ciò che abbiamo posseduto, o abbiamo rotto e sciolto le pietre della nostra durezza in tanti gesti di amore?

Si perché è vero che le troppe ricchezze pongono un solco quasi invalicabile tra noi e Dio, che Dio certo può sempre colmare con la sua misericordia, ma ciò che ci impedisce davvero di raggiungere il cuore di Dio è il nostro egoismo, le nostre piccole e grandi beghe (come quella dell’uomo che ha chiesto a Gesù per la divisione dell’eredità con il fratello), l’incapacità di fare un passo verso l’altra e l’altro.

E non è solo e sempre una questione di soldi, di possesso di beni materiali, che comunque tendiamo a conservare, ma è l’incapacità di condividere che ci tiene lontani da Dio.

In tutto rischiamo di essere avari, anche nel non mettere la nostra intelligenza, il nostro sapere, le nostre conoscenze, i nostri talenti e le nostre parole al servizio della comunità.

Tutto ciò che abbiamo è un dono e se non siamo capaci, in un modo o nell’altro, di restituire questo dono, di farne prendere parte a coloro che incontriamo sulle nostre strade, allora questo dono lo sprechiamo, lo rendiamo sterile, non ci serve per le nostre vite.

Le stesse nostre stesse vite diventano (scusate il termine, non proprio teologico) stitiche, incapaci di svuotarsi per riprendere vigore, trattenute talvolta dalle nostre paure, ma più spesso dal nostro individualismo esasperato e dalla nostra durezza di cuore.

Gesù però ci dice cosa ci serve per vivere, ci dice cosa può rompere la nostra sclerocardia, la nostra insensibilità che ci rende impassibili  verso il prossimo e sempre chini su noi stessi.

Questa medicina è Lui, la Sua vita donata sino all’ultimo.

Gesù non ha trattenuto niente di sé, si è offerto completamente, ha reso e riassunto tutta la Sua vita in un solo gesto: l’amore. 

La vera vita trova proprio pieno senso nel dono di sé.

Non è il possesso avaro dei nostri beni materiali e spirituali che ci fa vivere. Questo possesso ci da solo un’apparenza di vita, una soddisfazione temporanea ma che è destinata a scemare e a perdersi nel vuoto.

Un vuoto senza senso che è il pericolo più grande e in cui tutte e tutti rischiamo di precipitare.

Invece, se assumiamo le nostre vite come un dono e le rendiamo  a loro volta generatrici di doni per coloro che attraversano le nostre esistenze, allora davvero abbiamo la possibilità di farle splendere, di farle diventare testimonianze della bellezza della vita in Gesù.

Questa è la vera vita e Gesù ci invita a coglierla attraverso la Sua persona, per mezzo della Sua vita che trasforma.

Nel Nuovo Testamento abbiamo tanti racconti, tanti passi che ci richiamano al senso di una vita autentica, di una vita ben spesa. 

Pensiamo alla parabola del Samaritano che si ferma lungo la strada per soccorrere l’uomo derubato e ferito dai briganti, quando invece il levita e il sacerdote, ricchi di scienza e conoscenza ma ripiegati su loro stessi, erano passati oltre.

Quell’uomo condivise prima la sua attenzione, la sua cura verso un essere umano che rischiava magari di non farcela e poi anche i suoi mezzi materiali dando due denari all’albergatore e assicurandolo che avrebbe rimborsato le eventuali altre spese al suo ritorno.

Gesù disse al dottore della legge, che si era alzato per metterlo alla prova chiedendogli “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?” e poi “ chi è il mio prossimo?”: “Và, e fa anche tu la stessa cosa” (Luca 10,25-37).

Cioè: fermati, guardati intorno, non rimanere indifferente. Spendi la tua vita come il Samaritano che si è piegato sulle ferite dell’uomo derubato e picchiato. Eppure, quel Samaritano, come anche il levita e il sacerdote, aveva una sua vita, aveva i suoi affari, è ripartito, subito dopo essersi perso cura dell’uomo, per le sue incombenze. Ma ciò che lo ha contraddistinto è stato l’amore per il suo prossimo. 

Questa è la fonte vera della vita. Questo è ciò che davvero che ci fa vivere e che da senso ad ogni nostra esistenza.

Paolo racchiude poi meravigliosamente questo senso nell’Inno all’amore. 

Dalla 1^ lettera  ai Corinzi, capitolo 13, versetti da 1 a13.

1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.
4 L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.
8 L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.
13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore.

Care sorelle, cari fratelli: cresciamo nell’amore per crescere nella  vera vita.

Amen

 

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