(Chiesa Evangelica Valdese di Catanzaro, domenica 2 dicembre 2022)
Il lezionario “Un giorno, una parola”, ci propone come testo per la riflessione di questa 2^ domenica di Avvento un passo tratto dal Cantico dei Cantici, capitolo 2, versetti da 8 a 13.
Care sorelle, cari fratelli,
con il Cantico dei Cantici raggiungiamo le vette della poesia dell’Antico Testamento, della Bibbia intera e non solo.
Prima di andare al nostro testo non possiamo non chiederci cosa ci faccia un libro così "profano" all’interno del canone biblico. Un testo che narra della passione e dell’amore tra una donna e un uomo, un testo in cui apparentemente Dio non compare. Un libro che sembra spuntare in mezzo alla Bibbia come un oggetto misterioso, non identificato, un ufo delle scritture. Ma è così, è un testo davvero profano, non ci dice niente davvero di Dio?
Eppure, se il Cantico dei Cantici è stato inserito nel canone biblico un motivo c’è, e possiamo dire che l’ispirazione divina ci ha regalato qualcosa di ineguagliabile, di meravigliosamente sublime.
In effetti, lo stesso titolo del libro è un superlativo per esprimere il senso del “canto sublime”, del "canto per eccellenza”.
Durante il I secolo e.v. c’erano rabbini che dubitavano della canonicità del testo, ma poi l’assemblea rabbinica di Jamne, una località palestinese dove, secondo alcune tradizioni, nel 90 e.v. fu fissato il canone della bibbia ebraica, ne ratificò la piena legittimità a far parte del canone biblico. Celebre è il commento di Rabbi Aqiba: “Il mondo intero non è degno del giorno in cui il Cantico dei Cantici è stato dato Israele. Tutti i libri biblici sono santi, ma il Cantico è santo dei santi”.
A maggiore conferma di ciò, Il Cantico fa parte delle “megillot”, cioè è uno dei cinque rotoli che sono letti integralmente durante le feste più importanti dell’ebraismo. Il Cantico è letto nella festa centrale che le contiene tutte, cioè durante la Pasqua ebraica.
Non dobbiamo però nasconderci che il testo del Cantico ha creato molto imbarazzo nella sua interpretazione. Per giustificarne la presenza nel canone, lo si è interpretato “allegoricamente”, gli è stato attribuito un significato spirituale che è andato dal rapporto di Dio con il suo popolo d’Israele, poi all’amore tra il Signore e la Chiesa, all’anima del credente unita al suo Dio e c’è chi addirittura lo ha riferito a Maria la madre di Gesù.
Ma niente di tutto ciò ha a che fare, però, con il testo del Cantico che è si ricco di contenuti spirituali ma non nel senso delle allegorie che gli sono state attribuite. Il senso spirituale del Cantico è la celebrazione dell’amore umano, dell’amore sensuale e della stessa creazione divina. In ciò si celebra pienamente l’amore di Dio per gli uomini e le donne. Nella Genesi ci viene detto che, dopo ogni suo atto creativo, Dio vide “che era buono”, forse la traduzione migliore è “bello”, e che dopo aver creato l’umano, maschio e femmina, a sua immagine “vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Genesi 1,31). Si, tutto quello che aveva fatto era molto bello. Gli elementi della natura, il maschio e la femmina con i loro sensi erano stati creati in modo armonioso ed equilibrato. Dio poteva veramente gloriarsi della Sua meravigliosa opera.
Ecco dove il Cantico dei Cantici, trova la sua dignità di libro della Scrittura, di libro che “contamina le mani” come dicono i rabbini. E non c’è forse altro libro della Scrittura la cui lettura e meditazione contamina non solo le mani ma tutto il nostro essere di maschi e femmine nella pienezza più grande. Ricordiamo che per gli ebrei non c’è separazione tra corpo, spirito e anima, l’umano è un essere integrale, unitario. Il cuore è al centro di tutto e determina il pensare e l’agire di ogni giorno.
L’influenza della cultura greca ci ha portato probabilmente fuori strada, ci ha quasi imposto a pensare che tutto ciò che è spirituale va innalzato e tutto ciò che è materiale va scartato perchè non è degno dell’umano. Ma Dio ci ha desiderati proprio così come siamo, con i nostri corpi, con tutti i nostri sentimenti e anche con le nostre pulsioni più recondite.
Il Cantico è la glorificazione dell’amore terreno, dell’amore tra due esseri umani in carne e ossa e come tale celebra magnificamente il Dio creatore.
Dietrich Bonhoeffer, nella sua lettera dal carcere del 20 maggio 1944 scrive: “Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore; non in modo che ne risulti compromesso o indebolito l’amore terreno, ma in certo senso come canto fermo, rispetto al quale le altre voci della vita suonano come contrappunto; uno di questi temi contrappuntistici, che hanno la loro piena autonomia, e che sono tuttavia relazionati al canto fermo, è l’amore terreno; anche nella Bibbia c’è infatti il Cantico dei Cantici, e non si può veramente pensare amore più caldo, sensuale, ardente di quello di cui esso parla; è davvero una bella cosa che appartenga alla Bibbia, alla faccia di tutti coloro per i quali lo specifico cristiano consisterebbe nella moderazione delle passioni (dove esiste mai una tale moderazione nell’Antico Testamento?).”
Un aspetto rivoluzionario del Cantico è che maschio e femmina sono messi sullo stesso piano del desiderio e della passione amorosa. Per la società patriarcale è uno scossone, uno scandalo. La donna non nasconde i propri sentimenti, ma li esprime liberamente verso l’amato senza alcuna reticenza. La Sulamita prende la parola e anche l’iniziativa.
Non ci sono censure o cesure, il magnifico poema del Cantico scorre sotto i nostri occhi e nei nostri cuori senza pause coinvolgendo tutti i nostri sensi.
Anche nel brano che abbiamo oggi di fronte è lei, la bella sulamita, che si apre al desiderio, che si dimostra una donna coraggiosa e libera, che si apre all’incontro con l’amato sconvolgendo il modello di una società che si vuole sottomessa all’ordine e alla volontà maschile.
Lo scorso 25 novembre abbiamo celebrato la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. I protagonisti del Cantico sono stati i primi attori, inconsapevoli, di questa giornata. Nel Cantico non c’è violenza, non c’è sottomissione, c’è solo la gioia di un amore vissuto nella piena condivisione dei propri sentimenti e dei propri corpi in maniera assolutamente paritaria. Non troviamo nemmeno alcun vincolo riproduttivo. E’ l’amore semplice bello e generoso tra due persone che si scelgono, che si rincorrono, che si desiderano, che si incontrano lontani da ogni costrizione.
“Ecco la voce del mio amico! Eccolo che viene, saltando per i monti, balzando per i colli”. Al versetto 8, il nostro brano inizia con una manifestazione di esultanza: lei non vede ancora il proprio amato, ma già ascoltarne la voce o anche solo immaginarla le desta un’attesa che può essere descritta come un vero e proprio sommovimento del cuore. Il suo amato è agile, va da lei, “saltando per i monti, balzando per i colli”. E’ davvero forte questa immagine, il suo amato ha un desiderio così forte di incontrarla che scavalca monti e colli, che supera qualsiasi difficoltà che gli si pone davanti. E lei, così piena di desiderio, “sente” questa voce da lontano, una voce che può percepire solo lei, nessun altro, nessun’altra. Quante volte il nostro cuore è sobbalzato così, quando eravamo ancora capaci di sognare. Quante volte addirittura il nostro stesso cuore si è fermato nell’attesa di uno sguardo, di un incontro, di una telefonata del nostro amato o della nostra amata, comunque di una persona a cui tenevamo particolarmente. Pensavamo che il nostro amore, il nostro amico o la nostra amica avrebbe fatto qualsiasi cosa per raggiungerci, per incontrarci e noi bramavamo, non vedevamo l’ora di ascoltarla realmente quella voce. Uso l’imperfetto in maniera “provocatoria”, solo per interrogarci se abbiamo ancora quella capacità di desiderio, di sognare qualcosa che ci manca ma che ci potrebbe completare, o se l’abbiamo esaurita e ci consideriamo a “posto così”, “arrivati”, senza più niente da chiedere e con il pilota automatico delle nostre vite inserito nella modalità di “gestione”. Danilo Dolci diceva che “Si cresce solo se sognati”, noi potremmo parafrasarlo e dire che l’amore cresce solo se sognato, e non c’è un’età alla quale smettere di sognare, smettere di desiderare.
“L’amico mio è simile a una gazzella, o a un cerbiatto, Eccolo, egli sta dietro il nostro muro e guarda per la finestra, lancia occhiate attraverso le persiane” (versetto 9). Siamo nel pieno dell’attesa, l’amato è rappresentato come due animali “nobili” per la loro delicatezza, per la loro eleganza, per i loro occhi che parlano. Non è uno qualunque, è l’amato e lo sappiamo: l’amato, l’amata si idealizza, se ne cantano le virtù. E’ davvero grande poesia, perché davvero l’amore si sogna, si concepisce prima nei nostri cuori, nel nostro immaginario poi gli si va incontro sicuri di trovare la risposta a quel sentimento che ci spinge a metterci in movimento e ad osare.
E quel stare dietro il nostro muro, quel guardare per la finestra e lanciare occhiate attraverso le persiane, ci vuole dire, probabilmente, che l’amore, la relazione con un’altra persona, è anche un gioco di sguardi complici, ma allo stesso tempo ha bisogno di osservazione, di preparazione e poi di costruzione. Non è un tutto e subito, ma le relazioni si mantengono e crescono se si riesce a mantenere uno sguardo attento sull’altro e sull’altra, se ci ricordiamo della tenerezza con la quale le abbiamo vissute durante i nostri primi incontri. Le nostre relazioni necessitano anche di quella ingenuità originaria che ci aiuta a mantenerci autentici. E’ uno spiarsi buono, un tenerci d’occhio per non perderci, per non raffreddare il nostro cuore.
“Il mio amico parla e mi dice: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, poiché ecco, l’inverno è passato, il tempo delle piogge è finito, se ne è andato; i fiori spuntano per terra, il tempo del canto è giunto e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna. Il fico ha messo i suoi frutti, le viti fiorite esalano il loro profumo. Alzati, amica mia, mia bella e vieni».
Nei versetti da 10 a 13 è sempre l’amata che parla, anche se il suo parlare è riferito all’amato. Anche qui c’è la meraviglia della poesia, non solo l’amato viene desiderato, sognato, evocato, ma se ne immagina il suo desiderio, il suo pensiero, il suo linguaggio. C’è un apertura e una promessa di futuro. C’è l’esplosione della primavera, il tempo grigio, freddo e piovoso non c’è più, tutto il rifiorire graduale del creato parla della sua bellezza, di qualcosa per cui si può riprendere coraggio e continuare a sperare. I fiori che spuntano sulla terra, il tempo del canto che giunge, la voce della tortora che si fa udire nella campagna: tutto è un inno alla gioia, tutto può di nuovo risplendere, ridare vigore e entusiasmo alla vita. La tortora, poi, segna in Palestina proprio l’arrivo della primavera, come qui da noi le rondini, anche se se ne vedono sempre meno. Per inciso, ciò dovrebbe farci pensare a come stiamo sprecando l’armonia e l’equilibrio con la quale il Creatore ha fatto l’universo. Ce lo ha affidato ma non possiamo ritenerci i padroni assoluti perché ne siamo solo i custodi e invece la nostra bramosia di potere e di consumo ci mette davanti al nostro fallimento anche nei confronti di Dio.
Nel versetto 12 la tortora ha una voce, non un verso, ma una vera e propria voce. Anche lei ha un linguaggio che ci parla della novità del cambio di stagione, del fiorire dell’amore, dell’avvicinarsi dell’incontro e anche della bellezza di guardarci da vicino, di accorciare le distanze fino ad annullarle, di assecondare la natura anche negli sguardi e nei sentimenti che continuano a rimanere puri anche nell’incontro dei corpi, purché il cuore si mantenga puro, lontano da ogni intento di sfruttamento e di sopraffazione.
Il versetto 13, infine, ci regala poi un quadro spettacolare del paesaggio mediterraneo, il fico, le viti: tutti elementi ricorrenti nel linguaggio biblico che simboleggiano un tempo opportuno, un tempo di grazia, di bellezza e di fecondità. Ci sono dunque tutte le condizioni perché l’amore possa davvero sbocciare, prendere il volo.
“Alzati amica, amica mia, mia bella, e vieni”, così si conclude il nostro testo di questa domenica. Possiamo coglierlo come un invito a risvegliarci dai nostri torpori, a riscoprire la bellezza dell’amore, a non vergognarci dei nostri sentimenti, a scoprirci nudi nella nostra umanità, perché Dio, nel Suo amore e nella sua provvidenza, ci ha voluto proprio così come siamo. Amen