di Annalisa Brizzante

Il lavoro e il servizio per gli ammalati si compiono nella certezza che viene dalla fede

«Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno dei morti dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza» (Ecc. 9,10).

Appartengo alla comunità valdese di Milano e sono infermiera. La scorsa settimana, in occasione della sospensione del culto in ottemperanza alle disposizioni per il contenimento della diffusione del Coronavirus, ho ascoltato questo versetto del libro dell’Ecclesiaste in un messaggio inviatoci dai nostri pastori. Da quel momento il pensiero di queste parole accompagna l’inizio delle mie giornate lavorative. Questa situazione di “emergenza” in cui si trova il nostro Paese, e non solo, sta modificando forzatamente il nostro stile di vita e il nostro lavoro quotidiano; in particolare questo momento sta impegnando i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari. Questo versetto mi torna in mente ogni volta in cui varco la soglia del mio reparto, e mi sostiene in tutti i momenti in cui mi sento sopraffatta dal lavoro, dalla stanchezza e dalla sofferenza che vedo nelle persone. Per noi infermieri questi sono giorni convulsi, ci viene richiesto di essere pronti a cambiamenti organizzativi molto rapidi e per tale ragione non sempre percepiti e vissuti come chiari e sicuri.

Dobbiamo essere disponibili a rinunciare ai normali tempi del riposo per garantire una continuità nell’assistenza e rinforzare i reparti laddove vi è più carenza di personale.

In questi giorni sta cambiando il ritmo del mio lavoro: spesso dobbiamo far fronte a situazioni improvvise in cui deve essere garantita l’applicazione rigorosa delle precauzioni e una flessibilità nella gestione delle normali attività. Questi giorni sono bui per tutti noi, proprio come “il soggiorno dei morti” di cui parla questo versetto. Mi sono chiesta che cosa possono significare queste parole della Scrittura per me, da infermiera e da credente. Le mie mani, cioè le mie opere, i miei sentimenti, i miei pensieri devono fare senza esitazione, senza risparmio, tutto ciò che mi si presenta davanti; devo essere in grado di agire senza timore, di curare, di rincuorare e di sostenere le persone che mi trovo ad assistere, proprio quando il clima in cui ci muoviamo vorrebbe invece paralizzarci e chiuderci al nostro interesse e alla nostra individuale sicurezza, nella consapevolezza che la grazia del Signore è sempre sovrabbondante rispetto alle nostre forze.

Questo versetto mi dice che il mio essere cristiana si determina e si testimonia qui e ora, in questo tempo di grande incertezza e di altrettanto grande bisogno. In questi giorni mi sono resa conto di quanto sia difficile il nostro compito verso il nostro prossimo: essere per le persone malate il conforto che, in questo particolare momento, non possono ricevere dai loro cari, e allo stesso tempo far accettare alle persone la necessità di dover rinunciare a qualcosa per il bene di tutta la collettività. I nostri gesti di cura richiedono una vicinanza anche fisica alle persone che incontriamo e la delicatezza del nostro lavoro è anche quella di trasmettere la sicurezza della nostra presenza. Dobbiamo anche noi, come tutte le altre persone, superare la paura di avvicinarci agli altri; noi infermieri dobbiamo far sentire che oltre alle cure e attenzioni “straordinarie”, le cure ordinarie devono continuare; infatti la nostra attenzione deve restare immutata anche nelle piccole azioni di cura. Queste parole inoltre mi sostengono con forza quando vedo negli occhi delle persone la paura, l’impotenza e il senso di solitudine che possono provare quando intorno tutto si muove e cambia rapidamente, in maniera incerta, e vi è il bisogno di trovare sicurezza negli occhi e nelle mani di un’altra persona. Ma questo versetto mi dà anche la forza di incoraggiare tutti i colleghi e le colleghe a non lasciarsi vincere dalla paura di essere esposti al contagio. Queste parole, infatti, ci invitano anche a impegnarci in prima persona, anche qui senza risparmiarci, affinché possiamo lavorare il più possibile in sicurezza e sostenerci l’un l’altro; informando ed esortando le persone a rispettare le indicazioni sanitarie, e vigilando affinché tutti gli operatori siano tutelati. Per noi cristiani solo la certezza della fede è ciò che ci permette di rimanere saldi, cioè di non vacillare, di non dubitare che ciò che facciamo per le persone è innanzitutto fatto in Dio ed è per Dio, come ci esorta l’apostolo Paolo nella I Lettera ai Corinzi (15,58): «Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore». Possiamo pregare insieme, in questo difficile momento, con le parole del Salmista: «Saziaci al mattino con il tuo amore/ esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni/ Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti/ per gli anni in cui abbiamo visto il male/ Si manifesti ai tuoi servi la tua opera/ e il tuo splendore ai loro figli/ Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio/ rendi salda per noi l’opera delle nostre mani/ l’opera delle nostre mani rendi salda» (Sal. 90,14-17).

(da "Riforma"  - settimanale delle Chiese evangeliche, battiste, metodiste, valdesi - edizione del 20 marzo 2020)

(Mercoledì, 18 marzo 2020)

 

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