Pubblico la predicazione del pastore Paolo Ricca tenuta nel corso del culto del  pomeriggio del 22 febbraio 2020, celebrato per la prima volta della storia nell’Aula del Consiglio del Comune di Guardia Piemontese, nell'ambito delle manifestazioni per la "Festa della Libertà" della Chiesa Valdese.

Cari Fratelli e Sorelle, cari Amici e Amiche,

i cristiani dei primi secoli erano soliti, là dove potevano, celebrare il culto sulla tomba dei martiri. Perché? Non certo per rendere culto ai morti, ma per dire due cose: la prima era che anche grazie a quei martiri la fede cristiana era stata testimoniata come qualcosa che vale più della stessa vita; la seconda era che quei martiri non erano morti, ma viventi nel Signore vivente, ed era con loro, già viventi in Dio, che essi, ancora su questa terra, celebravano il loro culto.

È proprio nel ricordo di quei primi cristiani raccolti in preghiera sulle tombe dei martiri, che ho accettato volentieri, benché la mia salute in questo tempo non sia al meglio, l’invito di Beatrice[1] di venire a Guardia per celebrare con voi, sulla tomba dei martiri di Guardia, il culto del XVII Febbraio 2020[2]. Guardia infatti ci è doppiamente cara: lo è perché è stata riconosciuta a livello europeo come «Città della Riforma»[3], ma lo è più ancora perché è una città martire della fede riformata[4]. Non è l’unica, purtroppo; ce ne sono altre, sparse per l’Europa, oltre – s’intende – alle Valli Valdesi. Ne menziono una sola per tutte: la cittadina di Steyr, in Austria, dove alla fine del ‘300, circa cento Valdesi, uomini e donne, furono mandati al rogo dall’implacabile inquisitore Pietro Zwicker. Noi oggi siamo qui raccolti davanti a Dio, e, come i cristiani antichi, celebriamo il culto con i martiri di Guardia, che non sono defunti, ma sono vivi nel ricordo e nella presenza di Dio. C’è un detto rabbinico che mi piace ricordare e che dice: «Quando si pronuncia il nome di un defunto, questi, là dove si trova, muove le labbra»  –  come per rispondere. Se ne avessimo il tempo, vorrei menzionare ad uno ad uno i loro nomi  –  quelli che sono  noti  –  perché i nomi del più gran numero sono noti solo a Dio.

Ma perché questi martiri di Guardia? Perché tutto quel sangue versato? Perché tutti quei morti? Perché quegli uomini e quelle donne avevano visto una luce che non avevano mai visto prima, una luce così bella, così luminosa e splendente che hanno preferito rinunciare alla vita piuttosto che rinunciare a quella luce, una luce che non si spegneva neppure con la loro morte, anzi splendeva più che mai e illuminava anche la loro morte. Lux lucet in tenebris, «la luce splende nelle tenebre»: nelle tenebre fitte dell’odio, dell’ignoranza, della violenza che producono morte, splende la luce di Dio che

Gesù ha acceso e splende nel nostro mondo fino alla fine dei tempi. A Guardia splende un po’ di più, a motivo dei suoi martiri. Dove c’è un martire, la luce splende di più.

Lux lucet in tenebris, «La luce splende nelle tenebre», è la parola che la Chiesa Valdese ha voluto scrivere sul suo stemma, ma è prima di tutto un versetto dell’evangelo di Giovanni che si presta bene come testo di predicazione in un culto del XVII Febbraio, proprio perché parla di quella luce che i martiri hanno visto e alla quale non han voluto rinunciare, la luce che vuole illuminare anche noi in maniera che neppure noi vorremo mai rinunciarvi.

Avviciniamoci dunque a questo versetto, ed esaminiamolo un po’ più da vicino soffermandoci qualche istante su ciascuna parola. Il versetto completo dice: «La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno ricevuta» (Giovanni 1,5). Che cosa dice questo versetto? Dice tre cose: la prima è che la luce c’è: non ci sono solo tenebre nel nostro mondo! La seconda è che questa luce splende, cioè è piena di forza e di vita. La terza è che splende nelle tenebre, non fuori dalle tenebre, ma dentro.

  1. In primo luogo, dunque, la luce c’è. Non solo c’è, ma c’è dall’inizio. Non solo dall’inizio del nostro versetto, ma dall’inizio del mondo, la prima parola in assoluto che Dio abbia pronunciato, inaugurando così la storia dell’universo. All’inizio di tutto, quando non c’era ancora nulla tranne Dio,la parola originaria che precede e fonda tutte le altre e tutto ciò che esiste, è stata: «Sia la luce» (Genesi 1,3) «e la luce fu». La luce è la prima creatura di Dio, la sua primogenita. Senza la luce, anche se c’è tutto, è come se non ci fosse nulla. Chiudete gli occhi, e il mondo improvvisamente si svuota, non c’è più nulla intorno a voi. Il buio ha questo potere impressionante, di annullare in un certo senso la realtà, che la luce, invece, rivela. La luce ha questo potere immenso, di far vivere tutto. Solo con la luce il mondo esiste realmente. Non per nulla si dice di un bambino che è nato, che è «venuto alla luce», ha cominciato a esistere. La luce è condizione di vita: una pianta senza luce, muore. Senza luce, la vita diventa impossibile. Comprendiamo allora perché la Bibbia dice che «Dio è luce» (I Giovanni 1,5).

Ora la luce ha due caratteristiche stupefacenti. [a] la prima è che la luce non si vede, ma fa vedere, La luce non si vede: sembra strano, ma è così. Vediamo il sole e i suoi raggi, ma la luce che da loro promana non la vediamo. Vediamo il filo incandescente della lampadine, ma la luce che da quel filo si diffonde non la vediamo. Però vediamo solo grazie alla luce che non vediamo! Estremo paradosso! La luce è l’invisibile che fa vedere. Proprio così è Dio: è invisibile, nessuno l’ha mai visto, ma ci fa vedere: e ci fa vedere non solo quello che vedono gli occhi, ma anche quello che gli occhi non vedono; ci fa vedere l’invisibile (II Corinzi 4,18!). «Per la tua luce, noi vediamo la luce» (Salmo 36,10). [b] La seconda caratteristica è che la luce non fa rumore. Tutto ciò che vive fa qualche rumore: l’acqua fa rumore, il vento, il fuoco fanno qualche rumore, persino una pietra, se lo percuotete, emette qualche suono, ma la luce no, non fa nessun rumore, è completamente e misteriosamente silenziosa. Così è Dio: anche lui è completamente silenzioso. Ricordate il passo stupendo dell’Antico Testamento nel quale Dio si manifesta al profeta Elia: soffiò un vento impetuoso che quasi spezzava le rocce, ma Dio non era nel vento: poi venne un terremoto, ma Dio non era nel terremoto: poi ci fu un incendio, ma Dio non era nel fuoco; poi venne il suono sommesso di un impercettibile silenzio, e Dio era nel silenzio (I Re 19, 11-12). Dio non fa rumore: non strilla, non urla, come spesso i nostri politici nei talk-show televisivi: entra silenzioso nella tua anima, e la illumina.

Questa luce divina che non si vede, ma fa vedere, che non fa rumore, ma fa, appunto, luce, secondo la nostra fede, non è solo una cosa piena di fascino e di mistero, ma è una persona, quella di Gesù di Nazareth. «Il popolo che camminava nelle tenebre vede una gran luce, su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende (Isaia 9,1). Qual è la luce di Gesù ? È la sua vita, il suo insegnamento, il suo annuncio del Regno di Dio vicino. Le parabole del Regno sono una luce, ogni parabola lo è. Pensate alla parabola del figliuol prodigo: quale luce eterna emana da quella parabola! Le guarigioni di Gesù sono una luce: ogni guarigione lo è. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è una luce. Le Beatitudini sono una grande luce, l’amore per i nemici è la luce più luminosa di tutta la Bibbia, anzi di tutta la storia umana.

Anche nelle situazioni più critiche Gesù è stato luce: come quando morì ancora giovane il suo amico Lazzaro e davanti alla tomba Gesù pianse, poi fremette nello spirito e ordinò: «Lazzaro, vieni fuori!», e Lazzaro uscì (Giovanni 11, 35-44).

Che felice intuizione hanno avuto i nostri padri e le nostre madri a porre questo versetto nello stemma della nostra Chiesa! Che bel  XVII Febbraio può celebrare una Comunità che si riconosca nel suo stemma e sia lei per prima avvolta non nelle tenebre, ma nella luce che splende nelle tenebre). Che luce stupenda splendette in quel momento! O quando gli portarono una donna colta in flagrante adulterio perché la giudicasse, e il giudizio, secondo la legge di Mosè, poteva essere sola una condanna a morte per lapidazione, e invece Gesù decise il contrario: disse all’adultera: «Donna, dove sono i tuoi accusatori ? Nessuno ti condanna ?» «Nessuno, Signore», rispose la donna (difatti si erano tutti ritirati, coperti di vergogna!). E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno!» (Giovanni 8, 1-11). Che luce stupenda splendette in quel momento non solo sulla donna, ma su di noi che, come lei, abbiamo tanto bisogno di essere perdonati!

Dove c’è Gesù, c’è luce. C’era luce persino sulla croce, quando pregò per i suoi carnefici dicendo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34). O quando disse al ladrone pentito: «Oggi sarai con me in paradiso» (Luca 23,43). Che grande luce apparve in quel momento nelle tenebre della croce! Dove c’è Gesù, c’è luce. Anche quando è entrato nella nostra vita ha portato luce: «Io sono la luce del mondo» vuol dire anzitutto: «Io sono la vostra luce: chi di voi mi segue, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giovanni 8.12).

  1. Questa luce che c’è dove c’è Gesù –  dice ancora l’evangelista Giovanni  –  non solo c’è, ma  splende! Che cosa ci dice questo bellissimo verbo. Ci dice due cose. [a] La prima è che per splendere, dev’essere una luce forte, vigorosa, piena di vita, che dà molta luce. Non dunque un lucignolo fumante, una piccola luce tremolante che vacilla e può spegnersi a ogni soffio di vento. No, nessun vento la può spegnere. Ti puoi fidare di questa luce, non ti lascerà mai al buio. [b] La seconda cosa è questo verbo all’indicativo presente: splende, davvero splendido (è il caso di dirlo!), tanto più che tutti i verbi precedenti sono al passato: «Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei e senza di lei nessuna delle cose fatte  è stata fatta.. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini» (Giovanni 1, 1-4). Otto verbi al passato, uno dopo l’altro! Poteva anche andare avanti  col passato, e dire che la luce risplendeva o risplendette nelle tenebre, quando c’era Gesù. Anche così sarebbe andato benissimo, tanto più che poi i verbi al passato riprendono subito dopo: «le tenebre non l’hanno ricevuta». E poi: «Vi fu un uomo mandato da Dio», e così via fino in fondo al Prologo, tutto di nuovo al passato, tranne quel presente davvero miracoloso. Oppure Giovanni avrebbe anche potuto parlare della luce al futuro e dire: «La luce splenderà» quando Gesù ritornerà e verrà il Regno di Dio e l’ultimo nemico sarà distrutto, «e le tenebre fuggiranno per sempre»: sarebbe andato benissimo anche così. Ma Giovanni non dice né «splendeva» al passato, né  «splenderà» al futuro, dice «splende» al presente. Parlando della luce di Gesù, poteva e voleva solo parlarne al presente, ed ecco allora questo bellissimo «splende»! Splende oggi come allora, anzi più di allora, perché non è solo la luce del Gesù storico, è anche quella di Gesù risorto, doppia luce quindi quella che splende oggi; splende davanti a noi e sopra di noi, nel nostro mondo e per il nostro mondo, splende ogni giorno, splende per sempre.

Notate ancora una cosa: la luce che splende è descritta con un verbo al presente, mentre il rifiuto della luce da parte delle tenebre è descritto con un verbo al passato: «le tenebre non l’hanno ricevuta». Come per dire: non l’hanno ricevuta allora, tanto che Gesù è stato crocifisso; ma questo rifiuto appartiene al passato; è accaduto allora, non deve necessariamente accadere ancora; oggi una nuova storia è possibile: oggi quella luce ancora più grande può non essere più rifiutata, può al contrario essere accolta. Sì, diciamolo forte: può essere accolta!

  1. Infine, la luce splende oggi nelle tenebre. Le tenebre ci sono, eccome! Non ci sono solo loro, c’è anche la luce, ma non c’è solo la luce, ci sono anche le tenebre. C’era allora, ci sono anche oggi. Sono tenebre fitte. Allora Gesù non è stato amato, non è stato benvoluto, non è stato neppure capito. È venuto nel mondo, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua, ma i suoi non l’hanno ricevuto (Giovanni 1, 10-11). Anche oggi è così: Gesù non è benvenuto, ci disturba un po’ troppo il suo invito a convertirci. Questo è il grande mistero del cuore umano, che aspira al bene, ma fa il male che non vuole piuttosto che il bene che vuole. Così anche oggi, Gesù è rifiutato da molti. Ma per quanto diffuso possa essere questo rifiuto della luce, essa splende ancora. Le tenebre non l’hanno accolta, ma non l’hanno vinta. Essa splende nelle tenebre. Non accanto, non sopra, non sotto, ma dentro, nel cuore delle tenebre, proprio là dove sono più fitte, splende la luce di Gesù. Se splendesse solo in cielo, noi che siamo sulla terra non potremmo vederla. Se splendesse solo lontano dalle tenebre, noi che siamo dentro le tenebre, non potremmo vederla. Ma splende dentro le tenebre, nel buio del mondo e nel buio dell’anima. Nel buio della sofferenza, Gesù è luce con la sua compassione. Nel buio della solitudine, Gesù è luce con la sua presenza. Nel buio del peccato, Gesù è luce con il suo perdono. Nel buio dell’errore, Gesù è luce con la sua verità. Nel buio della morte, Gesù è luce con la sua risurrezione.

Lux lucet in tenebris! Che bell’Evangelo! Che felice intuizione hanno avuto i nostri padri e le nostre madri a porre quel versetto nello stemma della nostra Chiesa! Che bel  XVII Febbraio può celebrare una Comunità che si riconosca nel suo stemma e sia lei per prima avvolta non nelle tenebre,  ma nella luce che splende nelle tenebre!  Amen.

 

[1] Beatrice Grill, di Messina, presidente del Centro Culturale Valdese Gian Luigi Pascale, di Guardia Piemontese (Cosenza).

[2]  Il 17 Febbraio 1848 il re sabaudo Carlo Alberto concesse ai Valdese (e un mese dopo anche ahli Ebrei), dopo secoli di dure persecuzioni di ogni genere, i «diritti civili» (non ancora quelli religiosi: la libertà religiosa fu sancita in Italia solo cento anni dopo, con la Costituzione Repubblicana del 1948). Il 17 Febbraio di ogni anno i Valdesi e altri Evangelici d’Italia, e oggi anche dei Cattolici in spirito ecumenico, ricordano quella data con una festa, che oggi si chiama «Festa della Libertà», in occasione della quale si accendono, la sera del 16, dei falò di gioia sulle colline delle Valli Valdesi, ma anche in altri luoghi d’Italia, si celebra un culto speciale, si partecipa a un pranzo comunitario e, dove è possibile, si organizza uno spettacolo teatrale o anche corale e musicale.

La Festa del XVII Febbraio di quest’anno 2020 è stata celebrata in tutte le Chiese Valdesi e Metodiste d’Italia, in solidarietà con le Comunità ebraiche, alla lotta comune contro il risorgente antisemitismo. Questa iniziativa è stata promossa dalla Federazione della Chiese Evangeliche in Italia.

[3]  Insieme a Torre Pellice (Torino) e Venezia

[4]  C’era in Calabria una fiorente Comunità valdese che aveva a Guardia (Cosenza) il suo centro, ma si era estesa ad altre località vicine: Fuscaldo, Vaccarizzo, S. Sisto e Montalto. Dopo che fu arrestato e giustiziato a Roma, nella piazzetta di fronte a Castel S. Angelo, il loro Pastore, di nome Giovan Luigi Pascale, da Cuneo, ai primi di giugno dell’anno successivo, 1561, la Comunità valdese di Calabria fu totalmente annientata: la maggior parte, per salvare la vita, accettò di tornare alla fede cattolica romana, gli altri – diverse centinaia, ma il numero esatto non si conosce – preferirono morire piuttosto che abiurare. Questo eccidio viene oggi ricordato a Guardia in vari modo, il 5 giugno di ogni anno, come «giorno della memoria».

(Sabato, 29 febbraio 2020)

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