Da mesi agli italiani si tenta di inoculare un subdolo virus: quello della cattiveria. Bisogna essere più cattivi, solo la cattiveria può risolvere i problemi del nostro tempo. La cattiveria è la soluzione a tutte le paure. I buoni e quelli che cercano soluzioni radicate nello spirito di umanità e solidarietà sono destinati a scomparire perché deboli, perché non sono capaci di difendere la loro identità contro i nuovi barbari, contro gli invasori, contro chi vuole usurpare territorio, lavoro, servizi, dignità.
Ma al contrario degli untori classici che, nell’immaginario collettivo, diffondono i bacilli di nascosto, i nuovi lo fanno alla luce del sole, dichiarandosi apertamente, con un linguaggio diretto e senza mezzi termini, orgogliosi della loro opera, magari autorizzati anche dal consenso popolare.
Come tutti i veleni, se somministrati in piccole dosi e quotidianamente, anche la cattiveria rischia di penetrare nel corpo degli italiani e di abitarvi a lungo senza grandi resistenze, senza subire la reazione degli anticorpi.
La cattiveria come sistema di governo, ma addirittura anche status simbol, modo di dimostrare l’appartenenza, quella vera e dura, alla comunità nazionale. E la cattiveria diventa ancora più esaltante, anzi diventa un "fatto storico", se esercitata contro i più deboli rispedendoli nelle mani di un regime, quello libico, che userà contro di loro ogni genere di sopruso e di sevizia dai quali credevano di essere scampati.
La cattiveria, anche quella verbale, come prodotto del razzismo e della xenofobia che, purtroppo, si stanno facendo sempre più largo nell’animo delle persone corrompendo le ragioni della convivenza civile e dell’integrazione sociale.
(Domenica, 17 maggio 2009)