domenica, 08 ottobre 2006
Sono cattolico praticante. Fino a pochi giorni fa non avevo alcun dubbio: no all’eutanasia.
Il drammatico appello di Piergiorgio Welbi al Capo dello Stato mi ha spinto a chiedermi se la mia posizione fosse ancora sostenibile, di fronte alla richiesta di una persona che non riesce più a sostenere il peso di una sofferenza fisica e psicologica che trasforma il corpo in una zavorra che non consente più di vivere in maniera pienamente dignitosa. Ed allora mi sono confrontato. Prima di tutto con mia moglie che ha, al riguardo, un pensiero completamente diverso dal mio. Lei sostiene il diritto di autodeterminazione di ogni uomo, per cui la persona deve essere sempre lasciata libera di decidere della sua vita. Poi, con le posizioni di tante altre persone e con quelle della Chiesa.
Mi domando se non sia un atto di profonda carità sollevare una persona, quando ormai non esiste più alcuna speranza, da dolori indicibili, dal proseguire un’esistenza che è diventata solo un’inesorabile agonia. Mi chiedo se il Signore, nella sua misericordia e nel suo amore, possa imputare a colpa il desiderio di un suo figlio che soffre e che è fiaccato definitivamente nella sua capacità di sopportazione. Il Signore è il Dio della gioia, non del dolore. Anche San Francesco ha chiamato la morte “nostra sorella”.
Mi domando se c’è qualche differenza sostanziale e non solo nominalistica tra “testamento biologico” ed eutanasia.
Mi domando: se un giorno toccasse a me, cosa chiederei ai miei cari?
Mi domando…
Poi oggi, guarda caso, la trasmissione radiofonica di Radiouno “Oggi 2000” si è occupata dell’argomento. Un professore ha raccontato la sua esperienza di malato di SLA (una forma gravissima di sclerosi progressivamente invalidante). Lui, grazie alla fede, ha trovato la forza di convivere con la sua malattia ed un equilibrio interiore che gli consente di apprezzare ogni momento vissuto, che gli fa apprezzare e valorizzare cose che prima riteneva insignificanti, che ribalta la sua gerarchia dei valori. Anche lui si è posto una domanda: se lo Stato, attraverso servizi di assistenza medica, domiciliare e familiare efficienti e umanizzanti, favorisse il vivere in maniera più dignitosa anche le condizioni di sofferenza estrema, quante persone penserebbero effettivamente di chiedere l’eutanasia?
Lui dice assolutamente no all’eutanasia. Riconoscere l’eutanasia potrebbe voler dire: laviamoci le mani da ogni forma di responsabilità sociale, ognuno decide per sé.
Il professore ha una grandissima forza morale. Ma a chi non rimane neanche questa?
Rimango, comunque, contrario all’eutanasia.
Ma, mi domando…