Il grande inquisitore
Proprio qualche giorno fa, nel pieno del periodo di Quaresima, durante la lettura de ‘I Fratelli Karamazov’ di Dostoevskij, mi sono imbattuto nel passo intitolato “Il grande inquisitore”. Nel secolo sedicesimo, a Siviglia, proprio nel giorno in cui sono bruciati nei roghi, organizzati dalla “Santa Inquisizione”, centinaia di corpi di “eretici”, torna Gesù. Passa in mezzo alla folla e viene da tutti riconosciuto. E’ riconosciuto anche dal Grande Inquisitore che lo fa imprigionare e rinchiudere nelle carceri del “Santo Uffizio”. Durante la notte successiva il Grande Inquisitore visita Gesù in prigione. Il monologo che ne segue è di una bellezza letteraria assoluta, ma genera una profonda inquietudine. Gesù è rimproverato per il suo ritorno. La sua nuova venuta rischia di mettere in discussione ciò che uomini e istituzioni hanno costruito nei secoli, servendosi della sua parola, per incutere il timore in altri uomini, per tenerli sotto il giogo della paura del peccato e della disubbidienza. Gesù, vincendo anche le tentazioni di Satana, aveva liberato gli uomini da ogni forma di schiavitù, ma gli uomini sono oppressi dalla libertà e hanno bisogno di qualcuno, di qualcosa, che dica loro come si debbono comportare, che li soggioghi rendendoli paradossalmente felici. E’ ciò che i potenti hanno realizzato dopo la prima venuta di Gesù, si sono impossessati delle paure, della difficoltà di scegliere e quindi di gestire la libertà e hanno imposto agli uomini nuovamente il peso del peccato da cui Cristo li aveva liberati. Queste sono le argomentazioni del Grande Inquisitore. Il ritorno di Gesù può spezzare di nuovo le catene chiuse ai polsi degli uomini e questo non va bene. Allora Gesù viene nuovamente condannato, questa volta al rogo.
Molte volte ci si pone la domanda: se Gesù ritornasse sarebbe riconosciuto dagli uomini? La risposta probabilmente risiede nel racconto di Fedor Dostoevskij. Si, sarebbe riconosciuto, ma verrebbe di nuovo condannato perché il potere teme la libertà e la verità, perché anche la fede quando è istituzionalizzata, formalizzata, ritualizzata, quando ha ministri degli esteri, rischia di non essere più libera e liberante.
(Martedì, 18 marzo 2008)