Ieri pomeriggio, insieme ad una bella comunità di amici, abbiamo affrontato il tema della sofferenza, della malattia. E’ uscito fuori il modo assolutamente personale con il quale ognuno di noi affronta e trascende la propria sofferenza e anche quella degli altri. Ma una domanda, secondo me, è rimasta insoluta: come ci poniamo davanti alla malattia che non perdona, che, dal punto di vista medico, è inguaribile, alla morte di bimbi e ragazzi, e non solo, ma anche davanti alla sofferenza che abbrutisce le persone e le isola rendendole scarti della società? Umanamente ci sentiamo, probabilmente, impotenti e sconfitti, ma c’è qualcosa, Qualcuno che può liberarci da questa nostra umiliazione: è la fede nel Signore Gesù. Non è semplicemente una consolazione, ma una vera e propria liberazione. Ci hanno sempre detto e, ancora molti di noi restano esclusivamente legati  a questa concezione, che la sofferenza redime, che dobbiamo offrire i nostri dolori a Dio, che nella sofferenza siamo salvati. Ciò però rimane ancora al livello della consolazione,  ma Gesù non si è limitato a consolare, ha guarito tutti coloro che ha incontrato sulla propria strada e non solo fisicamente, ma anche spiritualmente liberandoli dal peso della loro cecità, della loro sordità, delle catene morali a cui erano attaccati. E continua a farlo ancora oggi. Gesù vuole la nostra felicità e sa, e lo ha dimostrato, che essere felici significa stare bene nel corpo e nell’anima. Certo se soffriamo possiamo rivolgerci a Lui, con il senso della condivisione dei suoi dolori, perché Lui ci capisce avendo assunto la nostra condizione umana e avendo sofferto in modo atroce sulla croce, ma Gesù ci vuole felici, perché è il Signore dei vivi, non dei morti, per questo è venuto. Se soffriamo, Lui soffre con noi, ci sta vicino e anche nel momento della morte fisica ci accompagna verso una felicità che è fuori dal tempo e dallo spazio.  Proprio per donarci questa libertà e questa felicità ha vissuto la Sua esperienza terrena sino in fondo non tirandosi indietro, ma consegnandosi spontaneamente al più atroce e infamante dei patiboli.

Anche nel discorso della montagna (Matteo 5,1-7,29) o della pianura (Luca 6,17-49), pure richiamato ieri, Gesù ci spiega il modo con il quale possiamo essere “beati”, “felici”. E’ una beatitudine al contrario, rispetto al comune modo di pensare, ma è felicità vera. Gesù non ci dice che dobbiamo soffrire per essere felici, ma che l’autentica felicità richiede lo svuotamento, la “kenosi”, da tutte le nostre schiavitù. Non significa rassegnarci a tutto ciò che ci capita, ma liberarci dai lacci che ci impediscono di camminare, di essere veri uomini che vogliono vivere una vita piena e bella. E’ un percorso complicato, ma è anche questo il senso della “porta stretta” che non vuol dire dover passare per la sofferenza, il dolore e il lamento, ma cambiare stile di vita, convertirsi a un’esistenza migliore. “Il cristiano è il signore di tutte le cose, assolutamente libero, non sottoposto ad alcuno; il cristiano è servo zelantissimo in tutte le cose, sottoposto a tutti (Lutero – La libertà del cristiano).

(Sabato, 18 maggio 2019)   

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