Negli anni passati abbiamo creduto che la "rete", anche i social, potessero essere dei mezzi in grado di farci intrecciare relazioni più grandi, più intense, capaci di accrescere la nostra umanità, di costruire una globalità universale dove il locale potesse convivere con il transnazionale secondo uno spirito che avesse come unico obiettivo la pace e il benessere di tutte le persone. Ma la speranza di avere una rete "libera", si é trasformata nell'incubo di una rete brutale, frustrata e cattiva dove i messaggi dell'odio hanno purtroppo la meglio. E' davvero una sconfitta, almeno per il momento. A ciò si aggiunge la considerazione che la rete stessa é percepita, ormai da molti, non come uno strumento ma come un fine e anche come un modo per esaltare il proprio particolare e il proprio egocentrismo a scapito dell'idea di comunità. Certo é più facile distruggere che costruire, è più semplice seminare zizzania che il buon seme, ma dobbiamo riconoscere che questi "cattivi" coltivatori, ci hanno sopraffatto e hanno avuto gioco facile, anche perché abbiamo contribuito ad alimentarli. Ora la domanda è quella di sempre: cosa fare per, quanto meno, attenuare questa spirale perversa pur nella consapevolezza che comunque è ormai radicata nel tessuto sociale, ben più di quanto immaginiamo? Non conosco la risposta, ma una reazione potrebbe essere quella di reintrecciare quel filo di relazioni personali e sociali vere e autentiche, costruite sull'incontro dei volti, di cui forse abbiamo smarrito il valore e la bellezza.
(Sabato, 9 febbraio 2019)